In Giorni d’amore di Giuseppe De Santis, primo film a colori del regista e della coppia Marcello Mastroianni e Marina Vlady, nonché fiaba romantica ambientata in una cornice bucolica, i colori possiedono una dimensione fortemente simbolica. A risaltare sono innanzitutto il verde e il rosso, di cui si tingono di frequente gli abiti dei protagonisti: è verde la camicia di Pasquale (Marcello Mastroianni), così come lo scialle indossato da Angela (una giovanissima Marina Vlady), o l’abito rosso della bella contadina ciociara in cui compaiono decori nuovamente verdi. Il rosso vivace dei pomodori appesi un po’ dappertutto sulle case o dei peperoncini scaramantici, tipici della cultura dell’Italia contadina e meridionale, è lo stesso del nastrino che intreccia i capelli biondi della Vlady o le fasce al collo dei contadini.

È lo stesso anche della falce e martello – simbolo presente a più riprese sui muri delle case del villaggio ciociaro di Fondi dov’è ambientata la storia – a rievocare le simpatie del regista De Santis per il Partito comunista. Oppure il giallo delle pannocchie intrecciate, del fieno, degli assolati campi di grano. C’è poi l’azzurro, scuro negli abiti e più luminoso negli sfondi del cielo estivo e di una freschezza tipicamente associata a quel mondo bucolico. O il marrone, delle scarpe consumate dal lavoro della terra o dei volti polverosi che nei primi piani ricordano quelli dei capolavori western. Ci sono poi i profumi, dei fiori d’arancio di un matrimonio che non s’ha da fare, dei limoni che Angela ama rubare nei campi del vicino, o del mare, dove i due innamorati si ricongiungeranno sulla spiaggia come secondo un rito pagano.

Dipinto come un quadro paesaggistico dal pittore e sceneggiatore Domenico Purificato, il mondo agreste rappresentato da De Santis appare immacolato. Numerosi sono i momenti di ilarità e le scenette teatrali e giocose. Si tratta comunque di riso amaro per l’attenzione necessaria dei personaggi alle problematiche di tipo economico e i riferimenti alla guerra recente, testimoniati dal ritrovamento di una bomba. Opera del neorealismo rosa, filone più leggero del primo, il film non manca di far sorridere e riflettere allo stesso tempo.

Per ottenere tali effetti il direttore della fotografia Otello Martelli doveva utilizzare lampade molto potenti che potevano provocare perfino danni alla vista, come ha raccontato la stessa Vlady prima della proiezione del film al Cinema Arlecchino.