Con l’espediente cinefilo di far uscire Bartolomeo Pagano dallo schermo al termine della proiezione di Cabiria (1914) di Pastrone al cinema Lux di Torino, Il ritorno di Maciste (2023) immerge un’icona del muto nel nostro mondo globalizzato, giocando con quella mescolanza tra arcaicità e modernità alla base dello stesso personaggio di Maciste che proiettò Pagano, umile camallo del porto di Genova, sulla scena cinematografica internazionale, facendone uno degli attori italiani più pagati degli anni Venti.

Personaggio relativamente minore all’interno del grande successo di Pastrone, tentativo di conferire definitivamente al cinema lo status di arte grazie anche alla collaborazione di D’Annunzio, Maciste, probabile creazione dello stesso Vate, ottenne un tale successo presso le masse popolari da renderlo un protagonista seriale e da cambiarne l’identità da schiavo di colore a italiano bianco, il primo supereroe della nazione e difensore degli oppressi anche se sempre all’interno dell’ordine costituito.

In questa personale e sentita ricostruzione della biografia artistica di Pagano, il regista Maurizio Sciarra sceglie di portare l’archivio nel mondo, montando le immagini dei film girati negli anni '20 (inclusi i sorprendenti frammenti ritrovati del tournage di Cabiria) insieme a scene di finzione dove l’attore ha il volto di un inedito e convincente Giuseppe Abbagnale ed è condotto nel mondo contemporaneo dal critico cinematografico Steve Della Casa, che si muove anche tra archivi e interviste a colleghi critici.

Pagano riscopre oggi i set cinematografici torinesi di Cabiria e il suo ruolo in un film rivoluzionario per l’uso del carrello e per la valorizzazione dei movimenti della macchina da presa, il suo posto di lavoro a Genova, la sua villa di Sant’Ilario, l’influenza del suo corpo per la rappresentazione di Garibaldi nel monumento di Quarto all’impresa dei Mille. Riscopre anche, tuttavia, il suo declino, dovuto all’inevitabile decadimento fisico, e la crudele indifferenza del pubblico per una star del passato, resa attraverso l’efficace scena in cui Pagano diventa un incongruente fenomeno da baraccone nella Porta Palazzo dei giorni nostri.

L’uscita dallo schermo di Pagano pensata da Sciarra e dal co-sceneggiatore Steve Della Casa all’inizio de Il ritorno di Maciste, pur rievocando l’espediente meta-cinematografico concertato dai produttori degli anni Venti per rendere Maciste un eroe per le masse italiane, lo sovverte in modo decisivo. Le derivazioni seriali del personaggio, infatti, facevano uscire Maciste dai panni dello schiavo esotico di Cabiria, rivelando che il forzuto gigante buono era effettivamente un attore che interpretava il ruolo di schiavo, ma era un bianco a tutti gli effetti.

Il documentario di Sciarra, al contrario, mette in scena il personaggio di Maciste e il suo attore nelle contraddizioni della globalizzazione e nei dibattiti contemporanei su razza, classe e genere. La forza di Pagano, osserva un lavoratore del porto di Genova, oggi andrebbe unita alla capacità di manovrare un joystick, mentre la studiosa Jacqueline Reich distingue il personaggio dai dibattiti contemporanei sul blackface e riflette sulla possibile influenza del corpo dell’attore rispetto alla mascolinità esibita del Duce.

Il ritorno di Maciste combina cinefilia e impegno di indagine culturale e sociale, mostrando la rilevanza dell’archivio per comprendere le radici dei fenomeni che contraddistinguono la nostra società. Maciste è un nostro contemporaneo.