Mediaticamente, Tommaso Buscetta è esistito quasi solo come figura di spalle, nelle immagini dei processi di mafia degli anni Ottanta e inizio Novanta. Difficile rendere umano un personaggio conosciuto da tutti e compreso da nessuno: collaboratore di giustizia fondamentale per le centinaia di condanne e la comprensione delle dinamiche di Cosa Nostra, eppure orgogliosamente non pentito, reticente quando non mendace rispetto ai propri crimini, gaudente fruitore di crociere agli occhi dei contribuenti.

Coadiuvato da una maestosa prova attoriale di Pierfrancesco Favino, Il traditore lo racconta empaticamente ma senza sconti: un individuo la cui trama di vita si dischiude pirandellianamente in un avvicendarsi di cause ed effetti, e per il quale, a seguito di quella guerra di mafia che portò al potere il sanguinario Totò Riina, alle scelte in senso proprio si sostituiscono le reazioni difensive. Fra opportunista figlio degli eventi o invece sconfitto della storia criminale, superato nelle sue regole di onore da un'escalation di ferocia del tutto nuova, Marco Bellocchio mostra una decisa propensione per la seconda ipotesi, sfruttando l'indeterminatezza del titolo come domanda suggestiva su chi realmente abbia causato il danno maggiore alla struttura mafiosa.

Ottimo film di impegno sociale, Il traditore possiede una cifra stilistica quasi desueta nel panorama italiano, quella di intrattenere e appassionare il pubblico. Bellocchio, spesso attento alla storia del nostro paese, si era cimentato su un periodo altrettanto tragico, quello del sequestro Moro, in Buongiorno, notte, ma con toni intimisti e tormentosi. Qui invece è sontuoso e avvolgente anche se, nell'usare con profluvio svariati registri, crea un complesso non del tutto omogeneo: spiccatamente drammatici, sino a farsi onirici e simbolici, sono i pensieri e i vissuti quotidiani di Buscetta; iperrealisti i momenti del maxiprocesso, mimetici rispetto alle immagini televisive nella memoria collettiva; frenetici e incalzanti, con una strizzata d'occhio a Narcos e la recente serialità di genere, i regolamenti di conti mafiosi.

Il traditore centra però perfettamente il ritmo di fughe e pause, alcune scene memorabili (il riposo notturno sul tetto, gli insoliti postumi di un matrimonio, l'ultimo viaggio di Giovanni Falcone) e possiede la non comune virtù di superare la fascinazione del potere criminale non sminuendola – dato che, come ebbe a dire Roberto Saviano, essa non andrebbe negata ma analizzata e smontata – quanto piuttosto mostrando l'insostenibile vita da preda di tutti coloro che si erano autoproclamati cacciatori.