Tratto dall’omonima pièce teatrale (1892) di Oscar Wilde, Il ventaglio di Lady Windermere è un film del periodo americano di Ernst Lubitsch. Nel 1925 Lubitsch è sotto contratto con la Warner Bros. prima di trasferirsi alla Paramount solo tre anni dopo. Sono anni floridi e produttivi, che portano la realizzazione del film ad avere un successo immediato e ad essere inserito successivamente dalla Biblioteca del Congresso nel National Film Registry come “film di significato culturale, estetico e storico”.

Lady Windermere (May McAvoy) è una ragazza appartenente all’alta società inglese, felicemente sposata con Lord Windermere (Bert Lytell). Mrs. Erlynne (Irene Rich) è invece una donna che sta cercando di riconquistare un posto in società, andato perduto in seguito all’abbandono del marito, per un amante, e della figlia, trattasi nient’altro che di Lady Windermere.

Quest’ultima crede che la madre sia morta e nel frattempo viene informata dallo spasimante Lord Darlington (Ronald Colman) che il marito sta intrattenendo dei rapporti sospetti con Mrs. Erlynne. In realtà i due hanno un accordo per cui, in cambio di ingenti somme di denaro, Erlynne non riveli alla figlia di essere la madre: se svelato, il segreto potrebbe danneggiare permanentemente la vita (e peggio di ogni altra cosa, il posto in società) di Lady Windermere.

Raffinato ed elegante, Il ventaglio di Lady Windermere è un dramma da salotto, genere molto popolare in quegli anni, con un lieto fine che porta ad una risoluzione positiva, girato perlopiù in interni e ambientato negli anni Venti, anziché a fine Ottocento. Un’operazione di modernizzazione che si coglie anche nelle didascalie tramite la scelta di non riportare alcun passo dell’opera di Wilde, a differenza dell’adattamento del 1916 di Fred Paul (peraltro stroncato dalla critica perché “esageratamente pieno di soliloqui e forme arcaiche che occupano i due quinti del film”).

In più molte sfumature di pensiero ed emozioni sono rivelate tramite insistenti primi piani e mezze figure sui singoli personaggi, che tramite il loro sguardo indirizzano lo spettatore verso un’indagine psicologica minuziosa e approfondita.

Ecco quindi che siamo a metà strada tra una tradizionale interpretazione attoriale degli anni Dieci (gli occhioni perennemente sbarrati di Lady Windermere ogni qualvolta qualcosa la sconvolge) e quella più paziente, naturalistica e pacata di Irene Rich (grazie a cui si può comprendere qualsiasi cosa esprima, sia con una portentosa articolazione che con una lieve alzata si sopracciglia).

Gli sguardi di sottecchi, le occhiatacce, il dettaglio di un orecchio spiato attraverso un binocolo, la visione attraverso una serratura di un elaborato ventaglio che giace sul divano, l’utilizzo di monocoli, lorgnette e finestre raccontano più di quanto non sia necessario fare con le parole e nelle didascalie. D’altronde è la prova della maestria di Lubitsch che affermava: “Un film è bello quando è misterioso, con cose non dette”.