Dedichiamo l'editoriale di riapertura di Cinefilia Ritrovata (dopo la breve pausa estiva), a Jerry Lewis, scomparso nelle scorse ore. Non possiamo farne a meno, non soltanto per il dovere che critica e storiografia del cinema hanno nei confronti di uno dei più rilevanti autori e artisti della settima arte, ma anche perché mette pienamente in gioco la cinefilia. Chi altri, infatti, se non la critica cinefila, insieme alla passione di teorici e ricercatori di film studies, ha saputo - in barba alle noiose gerarchie sospettose nei confronti del comico - trasformare Lewis in una figura decisiva per il Novecento cinematografico americano e per la comprensione del gesto filmico?

Le tre fasi della carriera di Jerry Lewis (quella con Dean Martin, quella da star unica, e quella da regista di se stesso) raccontanto tre pezzi di cinema americano. Nel primo caso, il rapporto con il sistema spettacolare statunitense, che comincia con il vaudeville e soprattutto sfrutta il proscenio della televisione popolare (con l'aggiunta di un proficuo rapporto con la cultura del cartoon); nel secondo caso, il ruolo di alcuni registi, principalmente Frank Tashlin con la sua carica di irriverenza pop e creatività cromatica, senza dimenticare l'ottimo artigiano Norman Taurog, anch'egli figlio di una Hollywood anni Cinquanta fortemente contaminata con la pubblicità e le nuove forme mediali; infine l'autore Lewis, incredibilmente consapevole dei meccanismi teorici del comico, inventore puro di forme cinematografiche, sabotatore di regole e linguaggi coidificati, creatore di formidabili gag in grado di spappolare ogni idea di logica e continuity dentro il racconto hollywoodiano. 

La cinefilia ovviamente tende a privilegiare quest'ultima, non senza un apprezzamento critico per Tashlin. Del resto, al netto di meccanismi di messa in scena e montaggio oggi talvolta lontani da noi, film come Le folli notti del dottor Jerryll, Jerry 8 e ³/₄I sette magnifici Jerry, sono opere imprescindibili sotto molte prospettive: quella cinematografica e cinefila (che molto deve alla critica francese e in particolare a Positif e a Bertrand Tavernier in veste di analista), ma anche quella della comicità yiddish, visto che a modo suo Jerry Lewis ha saputo combinare la tradizione ebraica e quella del comico bianco e folk del vaudeville delle origini, come ben spiega Guido Fink nel suo imprescindibile Non solo Woody Allen

Non sorprende che, dopo il periodo d'oro, l'unica vera grande interpretazione di Lewis sia quella per Martin Scorsese, in Re per una notte, dove interpreta un personaggio in odor di autobiografia. Il confronto tra un attore metodico come Robert De Niro e il Jerry Lewis più amaro e dark sortisce una black comedy forse poco compresa anche dagli appassionati di Scorsese. Eppure, guarda caso nelle mani del regista più cinefilo di Hollywood, Lewis lascia il segno anche sugli anni Ottanta. 

Insomma, dedichiamo fin da ora la nuova stagione di Cinefilia Ritrovata all'amato Jerry Lewis e al suo sterminato archivio di immaginazione cinematografica.