Elvira Notari (1875- 1946), una delle prime e più prolifiche registe e produttrici italiane, con la sua Dora Film, ha avuto il particolare merito di rappresentare al meglio la produzione locale napoletana fin oltreoceano, esportando negli anni Venti una gran quantità dei suoi film per il pubblico degli emigrati del sud Italia in America. Di oltre 60 film però, i titoli sopravvissuti sono pochissimi e tutti o quasi conservati dal CSC – Cineteca Nazionale di Roma. La proiezione di ieri sera, con lanterna a carbone ed accompagnamento musicale dal vivo, ha riportato al pubblico un cortometraggio Un amore selvaggio (1912), un frammento, L’Italia s’è desta (1927) e un lungometraggio, Fantasia ‘e surdato (1927).
Un amore selvaggio, girato nel 1912, è una delle rare interpretazioni cinematografiche del poeta commediografo attore e compositore Raffaele Viviani, allora ventiquattrenne, insieme alla sorella Luisella: due divi della canzonetta napoletana (nella sua accezione più aulica) e capostipiti della sceneggiata, prestati al cinematografo. La pellicola, ritrovata e restaurata in Olanda, vede i due attori protagonisti di una fosca vicenda ambientata in Sicilia. Viviani impersona un lavoratore agricolo scansafatiche e rissoso, aizzato dalla giovane sorella contro il figlio del padrone di cui ella è innamorata non corrisposta. Precipitosamente si scivola verso tragiche risoluzioni fino ad un esito positivo.
Il film, discendendo dal genere della “sceneggiata napoletana”, intesa come miscelazione di musica e prosa, si presta perfettamente a una contaminazione multimediale imperniata attorno al cuore pulsante della canzone, che può essere di volta in volta il punto di partenza e suggestione di una trama per l’azione recitata (come vedremo nel film successivo) oppure al contrario (grazie al lavoro prezioso del duo di Antonella Monetti -fisarmonica e voce- e Michele Signore -violino, mandolino, mandoloncello) punto di arrivo nelle partiture originali di accompagnamento del film, che danno una voce ai fotogrammi muti.
Questo è ancora più evidente sia nel frammento L’Italia s’è desta che in Fantasia ‘e surdato, entrambi ispirati ad una canzone (Passa ‘a bandiera di A. Mario il primo, e Fantasia ‘e surdato di Canetti e Valente il secondo). Il cinema pare determinare qui una naturale evoluzione della “sceneggiata”, grazie ad una sorta di prolifica interferenza tra immagine ed accompagnamento musicale, poiché proprio nell’epoca del muto l’esecuzione dal vivo della parte musicale e cantata (qui intesa quasi come traccia diegetica ante-sonoro), faceva di questo genere di film un prototipo degli spettacoli multimediali più moderni.
La Notari introduce inoltre diversi livelli narrativi all’interno delle proprie storie con un uso avanguardistico di immagini intarsiate come sogni (amorini), suggestioni, desideri d’amore (la donna amata immaginata tra i fiori come una Venere botticelliana) o forme di metanarrazione, se così possiamo considerare il rimando ai testi delle canzoni citate (es. Fior di Gaggia).
E infine un ultimo tratto ancora più curioso del cinema della Notari: lo stretto legame tra pubblico e messa in scena, un legame di discendenza probabilmente teatrale. Ci troviamo infatti all’interno di uno spettacolo in cui chi recita e chi compone le storie da rappresentare (spesso si tratta di attori-autori o cantanti-attori) obbedisce al narcisismo del pubblico, e costruisce per esso una fabbrica catartica di gioia, amore e pianto, quando non una mostra di diapositive turistiche come nel caso dei fotogrammi delle bellezze paesaggistiche di Roma (Milite Ignoto, Piazza di Spagna), Napoli (Vesuvio), Venezia inseriti su commissione del pubblico degli emigranti italo-americani. A tal proposito è esilarante in Fantasia ‘e surdato la parentesi regionalistica in cui tre soldati di tre diverse città d’Italia “cantano” (grazie ai cartelli) un brano di una canzone locale omaggiando le rispettive città natie Venezia, Palermo, Napoli illustrate da altrettanti fotogrammi.
E allo stesso legame di causa-effetto che questi film avevano con il loro pubblico si ricollegano le cronache mirabilanti dell’epoca, che narrano di spettatori talmente coinvolti dalle pellicole, da intervenire spesso verbalmente o fisicamente nell’illusione di determinare il corso delle vicende narrate (pare che uno spettatore sparò addirittura contro lo schermo una volta per fermare “il cattivo” di turno). Un legame strettissimo dunque tra cinema e canzone, ma non solo, anche tra cinema e vita.