Si vantava di avere qualcosa in comune con geni del calibro di Nietzsche, Dino Campana, Alda Merini, Van Gogh. Il manicomio, per tre volte. Poteva permettersi di sottotitolare un suo libro “Le memorie di un matto di successo” e fregarsene di qualunque giudizio morale, perbenista o medico, come quello del grande psichiatra il Prof. Gozzano che lo definì “un grave nevrotico che non si è trovato mai bene con nessuno e in nessun posto”. Ha vissuto tutta la vita per guadagnare una grande libertà, quella di dire e fare tutto ciò che gli passava per la testa, senza dover chiedere scusa e restando autentico, fin nel profondo, fino all’eccesso ed all’osceno.

Remo Remotti era così. E noi vogliamo ricordarlo oggi, a due anni dalla sua scomparsa, proprio per quello che era. Uno scatenato anticonformista, un eccentrico artista che ha fatto di sè la sua vera opera d’arte, curando fino all’ultimo giorno dei suoi 91 anni il suo essere unico e inimitabile, il “Suo Capolavoro” come suggeriva Patrizio Roversi nella prefazione del libro di Remotti  Diventiamo Angeli (Ediz. Derive Approdi 2001) e continuava “gli basta sedersi a tavola assieme a qualche amico per decollare nel suo remoremottismo pirotecnico e futurista, fatto di parole-citazioni-provocazioni e poetiche coprolalie”. Coprolalie si, perchè Remotti quando ti parlava a braccio seguiva le sue pulsioni più profonde e finiva immancabilmente per citare due cose, il sesso e la merda, con uno stile pienamente splatter o tutt’al più tarantiniano, in cui la verità della vita invade la parola, o la scena senza l’odiosa censura dei tabù. “A me praticamente interessa solo la sorca” dichiarò in un’ intervista a Malcom Pagani del 2012. E aveva già 88 anni suonati, ma per l’uomo che aveva compiuto il “miracolo” di procreare la sua unica (bellissima) figlia Federica a 65 anni, il sesso non ha mai avuto limiti di età. 

Con una carriera cinematografica, nata casualmente e proseguita spesso per ragioni puramente alimentari, con quasi 64 film Remotti è entrato nell’immaginario collettivo soprattutto grazie al Freud morettiano ed al personaggio di Siro Siri. Approdò prima al teatro, per intercessione di Renato Mambor, pittore e regista d’avanguardia che lo volle con sè al teatro Alberico. Quindi fu notato da Marco Bellocchio che nel 1977 gli offrì il ruolo di Dorn nel lungometraggio per la televisione tratto da Checov, Il Gabbiano, dove recitò al fianco di Laura Betti, Remo Girone e Pamela Villoresi. Lavorò con i più grandi, Taviani (Il prato e Masoch) , Scola (La terrazza), ancora Bellocchio (Salto nel vuoto), Bolognini (La storia vera della signora dalle camelie) quindi nel 1981 nacque il sodalizio artistico con Nanni Moretti.

Già ai tempi di Io sono un autarchico (1976) Remo gli aveva recapitato un trattamento che aveva scritto su Freud pensando ad una ragazza greca. Passarono 5 anni e finalmente nel 1981 Nanni lo chiamò per interpretare Freud in Sogni d’oro, come protagonista dello spassoso film nel film intitolato La mamma di Freud che Moretti svelava all’interno della strana pellicola che lo stesso Michele Apicella, nella identificazione storica del personaggio con il regista, tentava di girare: memorabile la famigerata Vendita Democratica in cui Remotti veste i panni di un esilarante Freud venditore ambulante, e urlante, intento a piazzare a prezzi stracciati le sue opere più note assieme a cravatte che non si ciancicano e torroni al cioccolato fondente e nocciolati.

Tutto il film è come una riuscitissima equazione tra realtà e sogno, una identificazione rivelatrice e narcisistica tra Moretti/Apicella, ma anche Remotti/Freud, laddove il rapporto portato in scena tra Freud e la madre “era paro paro” quello che aveva Remotti con la sua. Nella scena dello sfogo di Freud con la madre la donna si lamenta “Io sono stanca stanca, io lavoro alla mia età, ma guarda le altre madri oh se avessi un figlio…” e Remotti /Freud si scatena in un liberatorio sfogo quasi da role playing game in cui urla: “cosa vorresti dire, un figlio che guadagna...io sono un genio tu sei la madre di un genio io ho scoperto l’inconscio io sono Sigmund Freud!”. Allo stesso modo in cui Remotti ricordava di sua madre “che è stata una gran donna e mi voleva bene, ma non mi ha mai capito… siccome sono stato in manicomio tre volte lei pensava che ero pazzo. E invece io non sono pazzo, sono un genio!”. Del resto Remotti è l’anagramma esatto di Moretti, forse per questo Remo nei film con Nanni finisce per impersonare non tanto un alter ego, ma più spesso la personalità esattamente opposta a quella del regista. Da una parte c’era Remo e la sua “fissazione” per “la fica”, dall’altra Moretti con il suo atteggiamento chiuso e rigoroso rispetto al piacere.

E’ così che l’osmosi tra vita e finzione, Remo e Nanni si fa ancora più forte e palese in Bianca (1984) dove Remotti diventa Siro Siri, vicino di casa edonista ed aperto al prossimo, circondato da donne bellissime spesso più giovani di lui, molto estroverso e a tratti invadente. Mettendo in scena con la finzione la reale opposizione tra le due personalità, la micidiale esuberanza di Siri/Remotti contro la proverbiale asocialità di Moretti/Apicella. La naturale spontaneità di Remo rispetto al prossimo contro le difficoltà ad aprirsi e rivelarsi di Nanni. La libertà contro il pre-giudizio: ad un certo punto Apicella arriverà a lamentarsi del suo vicino di casa persino con il suo psicanalista notando ““Il mio vicino di casa sta con delle ragazze che hanno 40 anni meno di lui… è incredibile!”...e per un momento persino la polizia sospetterà dell’anziano viveur come del possibile killer di Bianca...salvo poi scoprire la verità. Fu l’ottimo successo commerciale di Bianca che collocò l’allora 56enne Remotti nel novero dei grandi caratteristi del cinema italiano. Ma Remotti non fu mai nè soprattutto un attore.

La collaborazione con Moretti si concluse con la sua apparizione in Palombella Rossa (1989) dove vestiva i panni del guru dell’allenatore di pallanuoto Silvio Orlando. Fu quasi un cameo in cui Remotti sorrideva al suo discepolo con placida condiscendenza seduto tra il pubblico della partita di pallanuoto finale, sulle note di I’m on Fire di Springsteen. Un cameo capace di cogliere un’altra delle caratteristiche predominanti dell’eclettico Remotti, la sua incredibile propensione verso una disciplina spirituale. Essì, perchè per Remotti l’altro grande tema, dopo il sesso e le donne, fu la ricerca di Dio. Per lui l’importante era amare e fare tutte le cose con amore. Diceva RemoIl sesso è stato condannato praticamente solo dal Cattolicesimo e dall’Islam, che io sappia. Ci sono decine di religioni che lo esaltano. Il Tao, ad esempio. Cosa c’è di più bello che fare l’amore con una compagna? Però le cose non vanno fatte a casaccio, ci vuole disciplina. Non necessariamente cattolica, ripeto: io me la sono creata attraverso i miei maestri spirituali. La mia disciplina si rifà a Gurdjieff. Sono partito da lui, quando ancora non c’erano in giro i suoi libri. Ho iniziato frequentando una scuola esoterica che si rifà ai suoi insegnamenti. E poi leggo con grande piacere Osho e la cabala ebraica. Le mie colonne sono: il lavoro, la spiritualità, lo sport nei limiti del possibile, e la disciplina. E tra tante cose belle, anche il sesso”. (Intervista di Graziano Graziani per Paese Sera) 

Insomma Remotti diede tutto se stesso a Moretti, con il quale recitò sempre improvvisando, e ripeteva spesso che se non lo avesse incontrato avrebbe fatto il lavavetri. Il mondo dello spettacolo fu per Remotti una salvezza, perchè gli permise di tirare fuori tante cose “che covava” al suo interno e soprattutto di evadere dalle ristrettezze economiche del mondo della pittura. Poi, come diceva Remo, Nanni cominciò a chiudersi nella sua torre d’avorio...e Remotti continuò a fare Remotti, ma questa poi è un’altra storia…