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I migliori film del 2023

Vince un grande maestro della storia del cinema contemporaneo (Martin Scorsese) ma inseguito da una regista, Justine Triet, che in qualche modo conferma e rappresenta una stagione di registe in grado di scuotere il panorama (come appunto Cortellesi e Gerwig). Il genere fa capolino con Sorogoyen, il cinema d’autore e d’essai con Kaurismaki, mentre ben due film italiani in top 5 raccontano diverse generazioni di narratori (Rohrwacher davanti a Moretti). 

“Bianca” doloroso e dolce

Bianca è per Moretti un film di cambiamento, di maturazione, di passaggio dalla costruzione completamente rapsodica dei primi film a una sceneggiatura maggiormente costruita e inserita nelle strutture di una sorta di ‘giallo’ morale. Ma Nanni non si normalizza e non si addomestica, anzi. Perché Bianca è anche il film in cui l’umorismo satirico del regista si carica di dolore e feroce rassegnazione, quello in cui Moretti scava di più nei lati oscuri del proprio personaggio

Caméra-car-stylo. La libertà stilistica di “Caro diario”

Nuova carrellata antologica di scritti su (e di) Nanni Moretti in occasione dell’uscita del restauro 4k di Caro diario. Come scrive Morando Morandini: “Chi, se non l’Antonioni di L’avventura – ma è solo un esempio – ha avuto un occhio così, a dimostrazione che la fotografia non è soltanto tecnica di riproduzione della natura, ma visione e interpretazione del mondo? Nella sostanza, però, Caro diario non è narcisista. Moretti rischia di trovarsi addosso l’etichetta dell’autobiografismo che fu attaccata a Fellini. La morte di Pasolini è un vuoto che tocca molti di noi, una bella minoranza. Quel che racconta o inventa corrisponde alla realtà”.

“Palombella rossa” sofferta e profetica

Palombella rossa è per Moretti un’opera sofferta, faticosamente scritta e realizzata, ed è anche un importante film di passaggio. Quella contenuta in Palombella rossa è, in fine, un’accorata critica alle facili semplificazioni e un bellissimo elogio alla complessità, ai “troppi pensieri che fanno bene”, purtroppo presto dimenticato. Se lo avessimo ascoltato con più attenzione allora, forse, le cose sarebbero andate diversamente. Ci aspettavamo di più dalla vita, ma la partita è andata come è andata.

“Ecco Bombo” comico e drammatico

Più volte Moretti ha detto che era convinto di aver fatto un film drammatico per pochi, per poi accorgersi dopo l’uscita del film di aver fatto un film comico per tutti. E se Ecce bombo fosse entrambi? Il film comico su un gruppo di uomini che fanno autocoscienza come le femministe (e non capiscono e non si capiscono, all’inizio come alla fine del percorso), e un film drammatico sulla realtà di quegli anni, sui rapporti deteriorati con famiglia, lavoro, società quando, dopo il Sessantotto, si era scardinato un sistema di valori.

“Il sol dell’avvenire” speciale II – La politica e l’amore

Succede quello che nel cinema di Moretti accade spesso, dai tempi di Aprile, del Caimano, del già citato Mia madre. Che la vita entra nel cinema, cambiando il film che si sta girando, boicottandone le riprese. Si intrufola sul set sotto forma degli oggetti di oggi che continuano a comparire nelle scenografie anni Cinquanta, si oppone alle intenzioni del regista facendo innamorare gli attori, mandando in galera i produttori. Trasformando un film politico in un film d’amore.

“Il sol dell’avvenire” speciale I – Una dichiarazione d’amore

Si riannodano i fili di un percorso cinematografico che dura da cinquant’anni, fatto di idiosincrasie, fissazioni, facce stupite e recitazioni stranianti, viaggi, diari e giornali, canzoni italiane ascoltate, ballate e ostinatamente cantate, di impegno politico dentro e fuori dal set, di film girati o desiderati, di lettere mai spedite e pasticceri trozkisti, di madri reali, immaginate, evocate o sublimate, di attori che sono il corpo e la sostanza stessa di un percorso poetico, in quella che è la più struggente e radicale dichiarazione d’amore verso il cinema che Moretti abbia mai messo in scena.

“Tre piani” di Nanni Moretti – Speciale parte II. Punti di vista

Tre piani è un film di punti di vista, di fuggevolezza di cosa sia giusto e vero, ben distante dal primato morale che domina buona parte del corpus della filmografia morettiana. Che poi queste differenti prospettive innestate nel racconto siano quasi invariabilmente generate dalla distanza fra generazioni – con Moretti che sceglie per sé proprio il ruolo del genitore più distante dal proprio figlio – rimanda alla dimensione personale di vita dell’autore, che si è definito “più fragile” con l’età, almeno quanto alla sua capacità conclamata di leggere in controluce i temi forti della contemporaneità.

“Tre Piani” di Nanni Moretti – Speciale parte I. La stanza del padre

Con Tre piani siamo di fronte anche a un ulteriore passo avanti di Moretti nella sua indagine psicoanalitica dei rapporti umani, fin qui mai così teorica. Che il suo cinema giochi da sempre un corpo a corpo piuttosto serrato con la psicoanalisi non è certamente un novità, che questa indagine venga estrinsecata teatralmente in un lavoro di scarnificazione della drammaturgia, lavorando per sottrazione sulle sovrastrutture della recitazione, ragionando a fondo sul complesso rapporto fra personaggio e identità, è invece un percorso critico sul suo cinema ancora molto aperto, su cui ancora tanto ci sarà da lavorare e approfondire.

“Caro diario” e la critica

L’uscita in restauro 4k di Caro diario di Nanni Moretti ci permette di tornare alla letteratura critica sul film, molto ampia e circostanziata. Del resto, come scrive Olivier Séguret: “L’andamento infinito e sontuoso delle tue carrellate su una Roma ignorata, l’indugiare sul rumore della Vespa, la bruciante intelligenza dei commenti della guida Nanni a proposito di questa città in cui è nato (“Sento un odore di tute indossate al posto dei vestiti, di videocassette”), lo humour sconvolgente dell’incredibile sequenza in cui maledice e tortura il critico cinematografico, la delicatezza infinita dell’omaggio reso a Pasolini: tutto ciò resta scolpito nei nostri cuori”.

Nanni Moretti reale, sociale, umanista

Giammai “imparziale”, come rivendica lo stesso regista nell’unico fotogramma in cui passa davanti alla telecamera, precisando la sua posizione con uno degli intervistati, uno dei malos dei “cattivi” appartenenti alla milizia di Pinochet. Moretti gira con estrema naturalezza questo film, come fece 28 anni fa con La cosa, documentario che illustrava il dibattito interno tra i militanti comunisti all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Lo fa puntando la telecamera fissa sui volti di “persone che parlano”, perché, ammette, “non volevo esibirmi, non volevo fare una occupazione militare del fotogramma come fa Michael Moore, volevo restarmene garbatamente al mio posto”.

“Santiago, Italia” e l’etica della memoria

Il regista lascia che i volti e le parole riempiano la scena, alternati solo da immagini di repertorio e ritaglia per se un ruolo defilato, mai invadente, mai protagonista, sempre pudico, da testimone sensibile e partecipe. Solo in una occasione, ma determinante, sceglie di esserci, palesandosi dentro al documentario. Mentre intervista un militare, che pretendeva di difendere le ragioni di quel golpe, si sente dire che vorrebbe che la sua intervista venisse usata all’interno di un discorso imparziale su quegli avvenimenti. Qui Moretti decide di rompere la programmatica discrezione del suo documentario, la sua presenza/assenza fin lì mantenuta, che poi riprenderà poco dopo, perché ritiene sia necessario prendere una posizione chiara. Non si può raccontare un tentativo di sopravvivenza ad una dittatura e restare nell’ombra mentre qualcuno pretende di mettere sullo stesso piano le ragioni di chi scappa e quelle di chi toglie la libertà, diffonde il terrore e uccide.

In ricordo di Remo Remotti

Approfittiamo del maggior spazio che ci conede l’estate per ricordare Remo Remotti, a due anni dalla sua scomparsa. Uno scatenato anticonformista, un eccentrico artista che ha fatto di sè la sua vera opera d’arte, curando fino all’ultimo giorno dei suoi 91 anni il suo essere unico e inimitabile, il “Suo Capolavoro” come suggeriva Patrizio Roversi nella prefazione del libro di Remotti  “Diventiamo Angeli” e continuava “gli basta sedersi a tavola assieme a qualche amico per decollare nel suo remoremottismo pirotecnico e futurista, fatto di parole-citazioni-provocazioni e poetiche coprolalie”.