Il lavoro dell'analista era descritto da Sigmund Freud come un lavoro di ricostruzione, che affidandosi a dettagli e ripetizioni aiuta a ritrovare un qualcosa di perduto. Wong Kar-wai in In the Mood for Love si muove in quella direzione, riflettendo, a partire da quegli elementi e utilizzando il cinema, sui ricordi e cercando di ricostruire la memoria personale e collettiva. La Storia di Hong Kong e la storia di Chow e Su si trovano ad osservarsi e sfiorarsi, come i protagonisti stessi, riflettendosi a vicenda in uno specchio d'amor perduto e irrealizzato. Sono trascorsi ormai ventun anni dalla sua prima uscita nei cinema, presentato al Festival di Cannes del 2000 e accolto con grande entusiasmo. Ritorna adesso in sala grazie al restauro in 4K realizzato dal laboratorio L'Immagine ritrovata e da Criterion, distribuito da Tucker Film. Viene offerta dunque l'occasione per poter riammirare sul grande schermo un'opera fondamentale di inizio millennio, la cui forza espressiva non è stata minimamente scalfita dal tempo, tutt'altro che sbiadita e opalescente come lo sono invece i ricordi nel film.

"Quando si pensa a quegli anni lontani, è come se si guardasse attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che si può vedere, ma non toccare e tutto ciò che si vede è sfocato, indistinto". Si chiude con queste parole In the Mood for Love, dopo il finale ambientato ad Angkor Wat, un tempio all'interno del più importante sito archeologico della Cambogia, ricollegandoci di nuovo al pensiero freudiano, che paragonava il lavoro dell'archeologo a quello dell'analista. È il 1966 e Chow sussurra il proprio segreto tormentato e malinconico nella fessura di un muro, seguendo un'antica tradizione. Appare come un atto quasi catartico, tra le rovine di un passato stratificato in un presente fuori dal tempo. È in quel momento che trova origine il racconto sviluppato precedentemente, come un flashback in cui si prova non solo a ricordare e a navigare nel flusso indistinto e vitreo della memoria, ma anche a riattualizzare il passato, quasi alla maniera resnaisiana. Ultimo tentativo di modificarlo e riappropriarsene prima di lasciarlo definitivamente svanire, così come svaniscono i due personaggi stessi.

Il segreto che sussurra Chow nella fessura del muro riguarda la storia che ha avuto con Su, sua vicina di casa dal 1962 in una comunità di Shanghai ad Hong Kong. Una storia che ha portato ad un amore vanificato, irrealizzato, iniziata quando entrambi hanno capito che le lunghe assenze dei rispettivi coniugi nascondevano una relazione adultera. È a quel punto che i due protagonisti iniziano ad incontrarsi, non per intraprendere a loro volta una relazione amorosa, ma per emulare idealizzandola quella dei consorti fedifraghi, giocando con le rispettive identità. "Stiamo provando, è solo una finzione", le dice l'uomo. Viene messa in dubbio, dunque, la netta separazione tra realtà e finzione, attore e personaggio. Reiterazione e rappresentazione che sono proprio due elementi cardine su cui poggia la riflessione sulla memoria di Wong Kar-wai.

Ma In the Mood for Love non si limita a raccontare questa indagine, ne prende totalmente la forma, quella del sogno e della stessa memoria, in una Hong Kong fantasmatica e tesa all'astrazione in cui riusciamo a vedere solo pochi ambienti e in cui la massima focalizzazione è sui due protagonisti. Tutto il resto è lasciato fuori campo, compresi i rispettivi coniugi che non riusciamo mai a vedere e che compaiono solo attraverso la voce. Gli ambienti stretti e soffocanti, come corridoi, vicoli, piccole stanze ed uffici, stringono l'immagine attorno a Chow e Su, in una prigione che li vede distanti anche quando più sono vicini. È la prigione del tempo, della solitudine e del desiderio inappagabile. La recita termina infatti quando i due si accorgono di essersi realmente innamorati e di non potersi spingere oltre. Ecco che il desiderio soccombe ad una morale autoimposta, ma anche alla repressione sociale in vigore soprattutto in quell'epoca e in quel contesto. Così il passato viene colmato da ciò che non è successo e dal rimpianto, lasciando un presente fatto di rovine.

Wong Kar-wai agisce soprattutto sul tempo del racconto, modulandone il ritmo e la velocità. Se da una parte procede nebuloso tramite ellissi, impossibile da ricostruire nella sua interezza, dall'altra viene dilatato come tentativo illusorio di aggrapparsi ad esso per non lasciarlo defluire. La dilatazione e la reiterazione degli eventi, i vari incontri, i pasti, i gesti, i momenti in ufficio, gli orologi, seppur mai del tutto uguali e rafforzati dall'utilizzo del ralenti, congelano il tempo con lo scopo di liberare l'istante dalla costrizione della fugacità, intrappolando però i due protagonisti nell'attimo dell'innamoramento, senza che esso possa sfociare nell'amore. Tale costruzione è avallata dalla colonna sonora, che ripropone i medesimi brani, tra cui un valzer tratto da un film di Seijun Suzuki che trascina le immagini e i personaggi in una danza sfiorata fluttuante e sensuale.

Rievocando il cinema di Bresson e Antonioni, l'inquadratura assume la forma di un frammento, che spesso taglia fuori campo i corpi dei personaggi e che talvolta ha inizio prima del loro ingresso. Li introduce con sinuosi movimenti, con un effetto di messa in evidenza dello sguardo della macchina da presa che si sviluppa in modo quasi voyeuristico. È con gli elementi propri del cinema, dunque, che Wong Kar-wai riflette sul suo potere di affrontare il passato e la realtà, conscio che una sovrapposizione e ricostruzione totale non sia possibile, ma che abbia il compito di riprodurne l'ombra e le sensazioni, portando lo stile, il tempo e l'intangibile a diventare sostanza.