Articolo e intervista a cura di Alessandro Criscitiello e Carolina Minguzzi

Se Ingrid Bergman ha spezzato di netto i codici del divismo hollywoodiano, nel 2021 Isabella Rossellini non fa alcuna eccezione. Di fatto, Isabella incarna un universo che connette la grande storia del cinema alla decostruzione dell’immagine iconica, due mondi all’apparenza agli antipodi, ma che nelle sue scelte sopravvivono oltre il glamour, oltre le rassicuranti caratteristiche del mito. Isabella Rossellini è ospite del Cinema Ritrovato nel nome del cinema, più che in nome del padre e della madre, anche e soprattutto perché sono tre mondi che naturalmente coincidono, sempre oltre le aspettative e le sovrastrutture celebrative dell’”immagine”. Un cinema umanista e privo di retorica, quello di Roberto Rossellini, come Francesco, giullare di Dio, restaurato proprio quest’anno dalla Cineteca di Bologna e The Film Foundation. “La sceneggiatura di Francesco, giullare di Dio è di Fellini — ricorda Isabella Rossellini — quindi c’è la collaborazione di due grandi regie. In questo film vedo nitidamente sia mio padre che Fellini, perché il film è anche suo.” Dalla decisione di sigillare la star del cinema italiano dell’epoca — Aldo Fabrizi — in un’armatura, alla scelta di utilizzare attori-non attori come i frati del convento di Maiori, Francesco, giullare di Dio diventa la negazione stessa dello spettacolo: un film sul patrono d’Italia nel quale San Francesco quasi non si vede, lasciando il posto alla natura e alle giocose figurine scalze che negano lo storicismo in favore di un linguaggio bambino, pronto a inseguire follemente la propria indomita curiosità.

Le vite di Roberto Rossellini e di Ingrid Bergman si intrecciano proprio nella negazione dell’immagine del perfezionismo autoriale e divistico e sopravvivono nella figlia Isabella e nella sua visione del mondo. “In questo senso, i miei genitori mi hanno insegnato a seguire la mia curiosità rispetto al senso di responsabilità e a una carriera che può avere più a meno successo. Sono molto fiera di me, che a cinquantacinque anni sono tornata all’università per seguire un master in ecologia. Se non avessi avuto i miei genitori forse non l’avrei fatto.”

Ed è proprio il rapporto tra cinema e natura uno dei “pretesti” che fa di Isabella Rossellini la chiave per capire questa trentacinquesima edizione del Cinema Ritrovato: due mondi che si inseguono nella riscoperta del sapere scientifico legato alla campagna e alla terra, fino a ospitare un dialogo tra la Rossellini e Alice Rohrwacher, che ha realizzato il corto Omelia contadina in collaborazione con l’artista francese JR. “Mio padre ha fatto un film su San Francesco, Alice è contadina di famiglia e io mi dedico da anni alla mia fattoria. Il direttore Gianluca Farinelli ci ha visto un collegamento, ma credo che indipendentemente da questo ci sia un interesse maggiore nelle nuove generazioni rispetto alla campagna. Mi ricordo che quando avevo diciotto anni avevo pensato di iscrivermi alla facoltà di agraria e tutti mi dicevano che era un mondo finito in favore dell’industria e delle monoculture. Ho fatto l’accademia di moda a Roma, poi la modella e la costumista per mio padre, ma l’amore per la campagna c’è sempre stato. Nella mia fattoria vengono tanti giovani a lavorare: è un mondo che viene riscoperto anche per motivazioni strettamente legate all’ambiente, all’inquinamento e al cambiamento climatico. È una grande preoccupazione, soprattutto per le nuove generazioni, e quello che ho scoperto è che se da piccola guardavo la cultura contadina con un po’ di sufficienza, essa contiene un sapere scientifico enorme e noi l’abbiamo quasi ammazzata. Il Covid ha fatto riflettere molta gente, in questo senso.”

Secondo Isabella Rossellini il Covid, nella sua tragicità, ha palesato tanti aspetti positivi legati alla rilettura delle cose del mondo: “Mi ha fatto vedere tanti film. Oggi vedo due o tre film al giorno, e questo non sarebbe stato possibile senza il lavoro di realtà come Il Cinema Ritrovato. Quando ero piccola, se volevo vedere i film di mia madre, dovevo aspettare che ci fosse una retrospettiva, che li passassero in televisione o in un cinema d’essai. È un po' quel che accadeva in passato con i libri: erano scritti a mano, conservati nei conventi, inaccessibili. Poi con la stampa e gli editori i libri sono arrivati nelle case di tutti. Nello stesso modo, i film: con gli archivi e le manifestazioni come Il Cinema Ritrovato, i grandi classici sono a disposizione di tutti.”

L’importanza della divulgazione diventa materia cinefila par excellence, ma non solo. “Mio padre è stato uno dei primi ad abbracciare la televisione: voleva fare un cinema di diffusione didattica e la televisione raggiungeva più persone della sala cinematografica. Sicuramente gli sarebbe piaciuto Internet, perché si possono raggiungere milioni e milioni di persone. Io non sono una grande specialista dei social media: ho Instagram perché a noi attori richiedono espressamente un account Instagram. Qualcuno mi ha detto che Instagram è come una cartolina e lo utilizzo proprio come se mandassi una cartolina. Non che l’adori, ma mi sono imposta una disciplina e quasi ogni giorno metto una foto. Anche perché gli agenti lo chiedono: in America i produttori preferiscono lavorare con un attore che abbia molti follower. Vedo le attrici moderne e hanno 50 milioni di follower, io ne ho 350.000: non conto niente. Non ci arriverò mai a 50 milioni di follower. Mi spoglio nuda? Prima si faceva così, adesso neanche quello.”

Sul suo lavoro di attrice, Isabella Rossellini chiosa rivelando che oggi le si richiedono maggiormente ruoli secondari e che le interessa più scrivere. “Mi diverte di più scrivere monologhi. Non è che non mi piaccia recitare: non mi piace aspettare. Gli attori aspettano sempre. Passano giornate intere nelle stanze di albergo senza far niente, rendendosi disponibili e aspettando di girare.” A proposito del suo approccio alla recitazione rivela: “Chiesi a De Niro se c’era un metodo o una scuola da seguire. Lui mi disse di farle tutte, perché ognuna ti dà un’idea di come recitare, ma alla fine è il tuo metodo quello che conta. Questo mi ha molto aiutato, perché ho seguito diverse scuole e diverse corsi. Anche l’esperienza con diversi registi aiuta molto, perché ognuno richiede recitazioni diverse. Non ho un metodo, ma il set ti insegna più di ogni altra cosa. Quello che non ti insegnano le scuole è la confusione che c’è sul set, come concentrarsi con il caos che c’è sul set. Quella è la cosa più difficile.”