New York, anni ‘50. Un brillante pubblicitario - scapolo e mammone - risulta vittima di uno scambio di persona che lo fa credere una spia e lo fa diventare bersaglio mortale sia dei buoni che dei cattivi. Il protagonista è Cary Grant - al suo apice di fascino, carisma e humor - che si innamora dell’algida bellezza di Eva Marie Saint, fra una serie di fughe e inseguimenti mozzafiato.
La regia è quella perfetta di Alfred Hitchcock che si snoda su una sceneggiatura piena di colpi di scena e ironia di Ernest Lehman. Il film è uno dei più famosi della storia del cinema: Intrigo internazionale.
Nonostante l’elenco chiaramente riduttivo, per quanto ci si sforzi di enumerare gli ingredienti esatti è difficile riuscire a individuare l’esatta alchimia grazie alla quale Hitchcock ha dato vita a uno dei suoi capolavori senza tempo. Ancor oggi Intrigo internazionale gode di un intatto stato di grazia, di un equilibrio perfetto fra spionaggio, commedia sofisticata e sentimentale, fra suspense e ironia, fra leggerezza e riflessione esistenziale e sociale.
Tutto parte da una visione: girare una scena di inseguimento sul monte Rushmore, fra le rocce che hanno le sembianze di quattro presidenti degli Stati Uniti. Quando Hitchcock nel 1957 confessa questo desiderio a Lehman, lo sceneggiatore lascia il testo a cui stanno lavorando insieme da mesi - ma che non li convince affatto - e parte per un viaggio di due settimane fra New York, Chicago e il Sud Dakota che diventeranno i luoghi del film.
In pochi mesi Lehman costruisce una solida sceneggiatura che alterna in modo calibrato azione e introspezione. I suoi dialoghi brillanti e spesso pungenti in poche battute scolpiscono i personaggi che li pronunciano e conservano ancor oggi un ritmo invidiabile. Su questa base Hitchcock costruisce un meccanismo perfetto di suspence e immedesimazione, spaziando fra atmosfere thriller e da screwball comedy, e dirige per la quarta volta il suo connazionale Cary Grant, qui al massimo delle sue potenzialità di interprete e autore del proprio personaggio.
Grant veste qui i panni di Roger Thornill, un affascinante pubblicitario di mezza età che per un banale equivoco improvvisamente perde la sua identità: tutti lo credono George Kaplan, una spia americana sulle tracce di Philip Vandamm, enigmatico individuo a capo di un gruppo antiamericano che inizialmente si fa credere Lester Townsend, un diplomatico di stanza all’Onu.
Accusato ingiustamente dell’assassinio del vero Townsend e braccato sia dalla Polizia che dalle spie di Vandamm, Thornhill comincia il suo calvario: una fuga per salvarsi la vita e per cercare di rintracciare il presunto Kaplan, che in realtà non esiste. Mentre si dirige a Chicago incontra sul treno la misteriosa e bellissima Eva Kendall, della quale si innamora ma che finisce per rivelarsi prima un membro del gruppo di Vandamm e poi una spia americana sottocopertura.
Seguendo questa rocambolesca trama - verosimile e insieme fortemente surreale - Intrigo internazionale alterna continuamente le atmosfere del thriller a quelle della commedia sentimentale fino quasi a fonderle. Emblematica la scena del bacio sul treno fra Roger ed Eva: una delle più sensuali e allo stesso tempo inquietanti girate da Hitchcock. Grazie alle tante inquadrature e al montaggio campo-controcampo che riprendono le mani di lei e di lui strette intorno al collo e alla nuca dell’amante, nello spettatore si insinua il dubbio che il gesto sentimentale nasconda un tentativo di strangolamento o comunque di minaccia.
Ritorna anche qui il classico tema hitchcockiano del conflitto fra apparenza e realtà, del “nessuno è mai ciò che sembra”. Ma oltre alle false apparenze in Intrigo internazionale si aggiunge anche la riflessione sulla crisi esistenziale del protagonista e sulla perdita di identità e di valori che ne consegue.
“Ho un lavoro, una segretaria, una madre, due ex mogli e alcuni baristi a mio carico e non intendo contrariarli rimanendo ucciso” dichiara Thornhill dicendoci di sé molte cose: è un homus metropolitanus, il suo status è definito dal lavoro, ha un passato di fallimenti amorosi, nonostante l’età è ancora dipendente dalla madre, è un forte bevitore e ci sa fare con le parole. Difficile a questo proposito non cogliere i parallelismi tra il personaggio e la vita privata di Cary Grant: entrambi eleganti, brillanti, affascinanti, legati morbosamente alla madre, pluridivorziati, alle prese con dipendenze da alcol o droghe, ed entrambi in lotta con la loro personale maschera e alla ricerca della propria identità: "Tutti vorrebbero essere Cary Grant. - ricordava spesso l’attore - Anche io vorrei essere Cary Grant".
Giocando su questo smarrimento Hitchcock e Lehman decidono di togliere al loro Thornhill tutto ciò che lo definisce e allo stesso tempo lo limita: la città, il lavoro, la madre e gli affetti, l’alcol, persino le parole. In una delle più celebri sequenze del film lo troviamo perso nel bel mezzo del nulla e senza alcun dialogo per 7 minuti: sceso da un autobus per un appuntamento col fantomatico Kaplan in aperta campagna, Thornhill si ritrova solo e senza nessuna possibilità di difendersi, bersaglio facilissimo di un biplano che prima lo mitraglia e poi cerca di gasarlo con un diserbante.
E qui Hitchcock non mette alla prova solo il suo eroe ma anche anche se stesso, decidendo di ribaltare i topoi della suspense e creando un alto tasso di angoscia e tensione senza ricorrere ai canonici spazi angusti, chiusi e bui.
Superata questa e altre prove, il protagonista cresce e ritrova se stesso, l’amore, un equilibrio fra la città e una natura che ignorava e soprattutto uno status civile che rientra fra quelli contemplati dalle regole sociali degli anni ‘50. L’importanza del vincolo del matrimonio era infatti in quegli anni un tema centrale: l’accenno ai due divorzi superò seppur con qualche difficoltà il controllo della censura americana ma non di quella italiana (tanto che nella versione doppiata vengono citati solo “due fidanzamenti”).
Il lieto fine della storia e soprattutto l’aver ricondotto la passione e l’amore dentro al perimetro matrimoniale è sottolineato anche dalle ultime sequenze del film. La mano che solleva Eva - dal precipizio del monte Rushmore fino alla cuccetta di un treno che ospita di nuovo la coppia - fa da ponte all’ampia ellissi narrativa e all’happy end matrimoniali, suggellati dall’esplicita inquadratura finale in plongée: “Il treno che penetra nel tunnel dopo la scena d’amore fra Cary Grant e Eva Marie Saint - dichiarava Hitchcock - è un simbolo fallico. Ma non bisogna rivelarlo a nessuno”.