Ripenso ad una mattina di un 28 dicembre di tanti anni fa: un gruppo di insegnanti a discutere di Gaber nel cucinino di una scuola secondaria con Laura, una collega con cui, purtroppo, non posso più vedere Io, noi e Gaber, il coinvolgente documentario di Riccardo Milani dedicato al "Signor G.".
Un ricordo personale che condivido perché mi sembra dare un esempio di vita concreta per la tesi di fondo del film di Milani: Gaber ispirava senso di comunità, tanto tra gli artisti con cui lavorava quanto nel pubblico che queste collaborazioni miravano a raggiungere. L’altra dimensione importante che emerge da Io, noi e Gaber è la capacità dell’artista di mettersi in gioco e porsi delle domande sul prezzo del successo in rapporto alle aspirazioni personali. “La libertà è partecipazione”, come recita la canzone che alla fine scegliemmo per il progetto.
Io, noi e Gaber alterna i ricchi materiali d’archivio che includono programmi televisivi, interviste e spettacoli teatrali dell’artista milanese alle numerose testimonianze di chi lo ha conosciuto direttamente o ne è stato semplicemente ispirato. Ci sono i famigliari, come la figlia e il nipote, oltre ad una perturbante Ombretta Colli che dà voce alla mancanza con il suo silenzio; ci sono i politici come Bersani e Capanna, appartenenti a quella sinistra con cui Gaber ha sempre intrattenuto un dialogo pur “incazzandosi” molto di più che con la destra, e ci sono, ovviamente, gli artisti da Morandi a Fossati, da Serra a Fazio per arrivare a Sandro Luporini, il paroliere che aiutò Gaber a intraprendere una nuova direzione artistica negli anni 70, lasciando la televisione e approdando al teatro canzone.
Come per i materiali d’archivio, anche per le testimonianze la tipologia è la più varia con sovrapposizioni tra l’intimo e il pubblico, l’artistico e il politico che rendono bene la complessità di Gaber, anche se la sfilata di personalità risulta un po’ troppo lunga e una maggiore sintesi di questa componente non avrebbe tolto complessità al documentario.
Milani sceglie, quindi, un approccio classico e molto tradizionale per raccontare un artista anti-conformista, una scelta che sembra una contraddizione in termini. Il punto di forza di Io, noi e Gaber sta, tuttavia, nella selezione dei materiali d’archivio, capaci di raccontare i diversi momenti della biografia artistica e culturale di Gaber. Un primo importante nucleo è formato dalle immagini che illustrano le nuove modalità del cantante di intendere lo spettacolo televisivo e, al tempo stesso, evidenziano il rapporto controverso di Gaber con la televisione e la sua aspirazione verso una diversa modalità artistica.
“La televisione è violenta per tutti”, dichiara il Signor G. in un'intervista successiva ai successi televisivi, “per chi la fa e per chi la guarda”. Anche all’interno di format televisivi pensati per le masse, Gaber riesce a far passare i suoi messaggi a favore della libertà artistica e contro la censura: “In Italia c’è una grande libertà . . . di cantare”, dirà in uno sketch. Negli anni 60 dimostra di avere “la forza contrattuale” di portare in prima serata RAI, insieme a Jannacci, la canzone anarchica Addio Lugano bella.
Un secondo nucleo significativo ruota, invece, intorno alla successiva carriera di Gaber, caratterizzata dalla collaborazione con Sandro Luporini e dall’abbandono degli schermi televisivi in favore dei palcoscenici teatrali. Forse ancora più interessanti del paragone con il “Pasolini corsaro” azzardato dallo stesso Luporini, sono le osservazioni sul rapporto tra corpo e linguaggio in questa seconda fase artistica in cui gli spettacoli diventano contemporaneamente una sfida fisica e ideologica, evidenziando, ancora una volta, la modernità del cantante milanese.