Il ritorno in sala di Jules e Jim restaurato permette indagini storiche. Come quella sulla censura.  Così recita il testo originale del primo visto di censura negato al film: "La Commissione di revisione cinematografica (prima sezione) esaminato il film il giorno 30 maggio 1962 esprime, a maggioranza di 5 contro 2, parere contrario alla proiezione in pubblico del film stesso ravvisando, nel complesso della pellicola e soprattutto nella seconda parte di essa, un crescere di offesa al buon costume, inteso questo soprattutto sotto il profilo dell'ordine e della morale familiare. Il film, infatti, svolge la tesi d'un marito, innamoratissimo della moglie, che, pur di non perderla, acconsente e quasi predispone i congressi carnali di lei con l'amante sotto lo stesso tetto coniugale. La Commissione decreta di non concedere il nulla osta alla rappresentazione in pubblico del film".

Dai quotidiani si viene a sapere che il film di Truffaut è il primo a restare impigliato nelle reti della riformata legge sulla censura che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto non ripetere più gli errori/orrori dei recenti trascorsi. Il Ministro del turismo e dello spettacolo, Alberto Folchi - co-autore con il senatore Mario Zotta, del nuovo disegno di legge sulla revisione dei film e dei lavori teatrali -  approvando, in primo grado, il veto al film posto dalla Commissione, scatena le proteste del mondo della cultura.

Moravia, dalle pagine di 'L'Espresso', mette a nudo il nodo della questione, affermando che il triangolo amoroso è una delle situazioni più rappresentate nel teatro e nel cinema, ma in chiave comica e dove i personaggi sono maschere, non esseri umani e agiscono secondo codici letterari convenzionali. Invece, Truffaut, 'l'enfant terrible' del cinema francese, affronta il tabù del triangolo addentrandosi nell'animo umano senza alcuna convenzione o pregiudizio prestabiliti. Al contrario, con infinita delicatezza e commozione ci mostra che "la vita consiste in una serie discontinua e casuale di momenti di felicità; che questa felicità non è durevole, anzi, s'incrina nel momento stesso in cui si forma; che essa ha un carattere misterioso, fluido, sfuggente".

Lo sceneggiatore e critico cinematografico Vittorio Bonicelli, nella sua rubrica 'Il mondo, com'è?' del periodico "Le Ore", racconta di essere stato testimone diretto - all'indomani del ricorso in appello contro la sentenza di condanna - dell'incontro tra Truffaut, Tantini, l'importatore del film e la Commissione di censura. La successione di eventi descritti potrebbe a buon dritto rientrare in un film di Woody Allen che, oggi, sempre per una questione di 'moralità', si vede negata la distribuzione del suo ultimo film.

Bonicelli scrive che: "Truffaut si mordicchiava le unghie e preparava mentalmente il discorsetto [...], incerto se dichiarare di essere un buon cattolico, il che sarebbe stato difficile da dimostrare, o più genericamente un buon patriota. Poi pensò di dire che la sua vera vocazione era sempre stata quella di fare il censore e che soltanto per gli incidenti della vita aveva finito per fare il regista. [...] Finì col dire che i suoi personaggi avevano cercato di darsi una nuova morale ed erano stati sconfitti. Cioè disse l'unica cosa che non doveva dire", perché la funzione della censura era ed è quella di difendere la morale consolidata.

La situazione, prosegue il critico, assunse toni grotteschi nel momento in cui Tantini tradusse grossolanamente l'affermazione di Truffaut e ne risultò che degli attori, per ragioni non chiare, si mettevano in testa di inventare una nuova morale, fornicando con la stessa donna e conducendo la medesima, purtroppo, al suicidio. La conversazione avvenne prima che i censori vedessero il film; due ore più tardi, alla fine della proiezione, ci furono "commosse strette di mano" che sancirono l'insperato nulla osta al film, vietandolo però ai minori di diciotto anni.

Bonicelli conclude che "le buone cose, anche al cinematografo, si spiegano da sole".