Dice Jean Epstein: “In preparazione di un film di Poe, l’obiettivo primario è quello di mettere insieme (non senza difficoltà) una tecnica immensa e singolare. Avendo raggiunto questo, e con le immagini a disposizione per dare senso, si può vedere che, così come per Poe, oggi la tecnica può giacere quasi completamente tra le immagini”. L’opera cardine di Epstein, La caduta della casa Usher del 1928, ispirata all’omonimo racconto dell’orrore di Edgar Allan Poe, è un’esperienza sensoriale totalizzante. Chi scrive ha avuto la fortuna di fruire il film senza l'"aiuto" e il sostegno di un accompagnamento musicale registrato o dal vivo. Una colonna sonora era stata effettivamente pensata da Epstein e in seguito divenuta realtà grazie al lavoro di montaggio compiuto dalla sorella Marie poco dopo la morte del regista.

Le immagini di La caduta della casa Usher, in ogni caso, suonano e cantano benissimo da sole. Le atmosfere inquietanti e cariche di nervosismo che circondano gli interni e gli esterni della magione di Roderick Usher danno vita a un concerto della mente ricchissimo di melodie evocatrici. Il crepitio delle foglie autunnali, il vento di tempesta tra i rami degli alberi rinsecchiti, i tuoni, le gocce di pioggia nel fossato, i mormorii di Madeleine. È singolare come il susseguirsi di tutte queste immagini musicali sottolinei ancora di più la completa sospensione temporale dell’azione. D’improvviso non siamo più in grado di quantificare quanto tempo sia passato dall’arrivo dell’Ospite alla resurrezione di Madeleine. Una notte? Due? Una settimana? Un anno?

Se il tempo non è più misurabile, valgono allora tutti i giochi degli opposti e dei paradossi, del negativo e del positivo che coesistono. Se il maniero è pericolosamente pericolante, perché non è mai stato così resistente? Madeleine è morta, ma pienamente viva nel ritratto. Roderick ha l’anima distrutta, eppure è fabbro delle vite degli altri. L’Ospite è sordo ed è un sognatore come noi, ma si aggrappa ai libri per dare una spiegazione scientifica dei fatti. Le stelle, unico segno di vita, splendono nel cielo nero, in terra, una nebbia di colore bianco è profetizza la morte.

Poi arrivano anche gli odori. L’odore della pioggia, di fumo delle candele, del fango, l’odore di tendaggi poco lavati, l’odore di umido della cripta, l’odore del fiato di Roderick ripreso ossessivamente in primo piano. Tutte queste immagini, tutti questi suoni, tutti questi odori, il tormento di Usher, la sensazione di trovarsi in un sogno senza fine sono parte del concetto di "tecnica" ribadito da Epstein (come detto all’inizio), tecnica che è luce e ombre, montaggio serrato, ralenti, sovrimpressioni, dissolvenze. Senza la tecnica, non c’è immagine, non c’è musica, non c’è il cinema.