In una Roma luminosa e sonnolenta, Il Professore (Gianni Di Gregorio), ex insegnante di greco e latino che passa le giornate bighellonando per bar, incontra il suo amico Giorgetto (Giorgio Colangeli) anche lui pensionato. Insieme passano il loro tempo tra infinite attese all’Inps e bevute nei bar storici di Trastevere, lamentandosi per i soldi che scarseggiano e cercando vie di fuga alle ristrettezze romane, fino a progettare il trasferimento alle Azzorre, dove la vita è meno cara. Si unisce a loro Attilio (Ennio Fantastichini) ex viaggiatore che senza una pensione si arrabatta restaurando mobili.

Come in Pranzo di ferragosto, anche per Lontano lontano uno degli aspetti centrali della cinematografia di Gianni Di Gregorio sembra risiedere nella rappresentazione di una consustanzialità tra Roma e i suoi storici abitanti, per cui lo spirito della città è letteralmente incarnato dai malconci e coriacei protagonisti dei suoi film, che mostrano ognuno a proprio modo lo spirito creativo e tutto italiano dell’arte di arrangiarsi. La romanità è ben raffigurata dal regista e sceneggiatore mostrandoci le piazze, i locali più caratteristici e i volti rappresentativi del quartiere, quei “tipi da bar” che si possono osservare girando per determinate zone del centro e di Trastevere.

Visi rugosi e alcolici, già mostrati tramite il personaggio del Vichingo in Pranzo di ferragosto. Così peculiari e poco cinematografici nel senso patinato del termine, da indicare l’aderenza di Di Gregorio alla rappresentazione del proprio quotidiano con affetto e fedeltà, recuperando in piccolo quel gusto per il caratteristico tanto caro alla commedia all’italiana, senza però cadere mai nel macchiettistico.

Come i suoi personaggi si mantengono ai margini della povertà senza mai cedervi definitivamente, così la Roma ripresa da Di Gregorio ci mostra scorci radiosi. Il regista ne censura gli aspetti peggiori per mostrarci lo spirito di resilienza e di adattamento tanto della città al suo stesso decadimento, quanto dei suoi abitanti alle difficoltà del quotidiano, purché siano dei “romani de Roma” e ne incarnino quindi sia la pigrizia e il fatalismo connaturati che l’aspetto godereccio: gli incontri, il buon vino, le passeggiate sotto il sole, le gite fuori porta e le grandi mangiate. Sono i piccoli particolari che rendono la vita vivibile per i personaggi di Di Gregorio, quindi la convivialità, gli affetti e la bellezza dei luoghi, motivi per i quali il terzetto di anziani, con rassegnazione ma senza troppa amarezza, può forse ricominciare gradualmente a valorizzare la propria vita imperfetta.