Dopo l’entusiasmo generale per La forma dell’acqua si sono perse un po’ le tracce di Guillermo del Toro. In questi anni sono circolate molte voci sulla realizzazione del suo Pinocchio, ma è stata creata poca attesa per La fiera delle illusioni. Ogni tanto qualche voce e nulla di più. Però al regista piace stupire i suoi fan e, quasi di soppiatto, ha adattato Nightmare Alley dal celebre romanzo di William Lindsay Gresham.

Siamo all’inizio degli anni ’40, negli Stati Uniti e Stan sta lasciando una casa in fiamme dove ha appena bruciato un corpo. Stan è forse un vagabondo molto curato nell’aspetto, dalla buona dizione e i suoi unici averi sono la radio che porta sotto il braccio e l’orologio al polso. Un’aura di mistero lo avvolge e sicuramente nasconde un passato burrascoso. Il suo vagare lo porta a diventare parte di un luna park, all’interno del quale incontra alcuni freak e si invaghisce di Molly. Del Toro gioca con le luci e le ombre sui personaggi fin da subito e se la ragazza è sempre illuminata da una luce candida, Stan è già oscuro e maledetto come in un film noir anni ’40.

A un primo livello il personaggio di Stan è avvicinabile per movenze e abiti al protagonista de Il postino suona sempre due volte di Tay Garnett (1946). Però a Guillermo del Toro non basta e quindi inserisce alcuni tratti del Frank del remake di Bob Rafelson, ma non è ancora sufficiente. Quindi se il personaggio interpretato da Jack Nicholson passa dall’avere una spiccata propensione alla negatività al diventare negativo, quello interpretato da Bradley Cooper è un predestinato, può solo ricevere e dare morte, opprimere ed essere oppresso, incantandoci e illudendosi di non esserlo. Del Toro ci mette quindi davanti a un film disperato e a una storia ingannevole.

Gli strumenti per comprenderlo fin da subito sono però già visibili anche solo prendendo come esempio la locandina di La fiera delle illusioni, in cui le parole che appaiono vicino al protagonista sono “greed, wrath, lust, pride” è già tutto senza speranza: nella cartomanzia “non ci sono carte belle e carte brutte” dicono i personaggi ad un certo punto del film. Guillermo del Toro sceglie di dirigere nel modo più semplice possibile, senza osare particolarmente nella regia e senza contare sulla possibilità di utilizzare effetti speciali spettacolari.

Ciò su cui il regista ha deciso di concentrare tutta la sua attenzione è la scelta di un cast d’eccezione - da Rooney Mara a Cate Blanchett e da Richard Jenkins a Ron Perlman - che inserisce in contesti elaborati e bellissimi, si pensi all’ufficio della psicologa. Oppure li veste con dettagli, come le spille, che andrebbero analizzati più approfonditamente per capire tutti i riferimenti simbolici alla trama stessa, alle caratteristiche dei personaggi che li indossano e soprattutto alla mitologia del regista.

Questa volta per Guillermo del Toro la bestia umana non ha veramente la possibilità di scegliere tra due sentieri perché non c’è redenzione e l’unico modo per concludere il cerchio, l’unica via per la libertà è la morte, magari accompagnata da una risata folle e isterica.