In Orgasmo (Suspense, 1946) un poveraccio un po’ losco, Joe Morgan, arriva in cerca di fortuna e la trova nel business dell'impresario Frank Leonard e di sua moglie Roberta, pattinatrice su ghiaccio e stella del suo show. Joe viene assunto come venditore di noccioline, ma presto la sua ambizione, e la sua arroganza, attirano l'attenzione del capo, che lo fa diventare suo vice; ma Joe si insinua sempre più profondamente nella vita della coppia, prestando attenzioni crescenti, alternativamente rifiutate o ricambiate, a Roberta. La sfacciata intrusione di Joe è destinata a innescare delle conseguenze drammatiche.
Questo thriller stilizzato fa un ottimo uso delle scenografie bizzarre e disturbanti di Frank Paul Sylos, sfruttando il budget insolitamente alto per un film Monogram, casa di produzione specializzata in film di seconda categoria a basso budget. I set donano al film un’atmosfera tesa e straniante: l’espediente delle esibizioni della protagonista permette l’uso di coreografie e décor diversi tra loro ma quasi minimali, mentre è soprattutto il design dell’attico dei Leonard e della casa di montagna, con le loro scale contorte ed elementi d’arredo stravaganti, a contribuire a ispessire la suspense del titolo, l’attesa che accada qualcosa di terribile. La regia di Tuttle e la fotografia di Karl Strauss fanno il resto, sfruttando al meglio l’oscurità e i contrasti di luce e ombra, esaltando dettagli che presagiscono sventura, come l’onnipresente “cerchio della morte” di coltelli contorti attraverso il quale Roberta deve saltare nel clou del numero di pattinaggio.
L'insieme delle soluzioni formali conduce opportunamente gli spettatori nel territorio di un’inquietudine strisciante, ma non basta a risolvere le mancanze del film. Complice la scarsa chimica tra Barry Sullivan e la pattinatrice-attrice Belita, a dispetto del pruriginoso titolo italiano Orgasmo la passione tra i due amanti è poco coinvolgente, e la sceneggiatura vagamente approssimativa lascia in sospeso linee narrative solo accennate (cosa è successo a New York, e perché Joe è scappato?), si affida in modo funzionale alle personalità incostanti dei protagonisti, e offre ben poco approfondimento ai personaggi e alle loro motivazioni: su tutti l’instabile ex-fidanzata di Joe, ma anche al Frank di Albert Dekker avrebbe giovato qualche sfumatura in più.