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“La baia dell’inferno” al Cinema Ritrovato 2020
È un vero gangster movie duro e crudo, La baia dell’inferno. Tuttle concede un paio di sagaci battute hard boiled d’ordinanza alla sceneggiatura ma nulla più. Eppure, per quanto il regista sia molto più serioso che nei film passati, le statue religiose disseminate ovunque nelle stanze del boss criminale e la moglie religiosissima sembrano caricate, più che di un giudizio morale, di un’amara ironia. Impossibile poi non soffermarsi sulle donne di Tuttle, al solito meravigliosi oggetti dello sguardo spettatoriale – e Tuttle riesce a erotizzare anche l’ombra di un microfono sul vestito candido e sensuale di una cantante di night club – eppure, sarà un caso, ancora una volta non lì per essere salvate, ma per aiutare l’eroe a salvarsi.
La forma della suspense: “Orgasmo” di Frank Tuttle
Questo thriller stilizzato fa un ottimo uso delle scenografie bizzarre e disturbanti di Frank Paul Sylos, sfruttando il budget insolitamente alto per un film Monogram, casa di produzione specializzata in film di seconda categoria a basso budget. I set donano al film un’atmosfera tesa e straniante: l’espediente delle esibizioni della protagonista permette l’uso di coreografie e décor diversi tra loro ma quasi minimali, mentre è soprattutto il design dell’attico dei Leonard e della casa di montagna, con le loro scale contorte ed elementi d’arredo stravaganti, a contribuire a ispessire la suspense del titolo, l’attesa che accada qualcosa di terribile. La regia di Tuttle e la fotografia di Karl Strauss fanno il resto, sfruttando al meglio l’oscurità e i contrasti di luce e ombra, esaltando dettagli che presagiscono sventura, come l’onnipresente “cerchio della morte” di coltelli contorti attraverso il quale Roberta deve saltare nel clou del numero di pattinaggio.
“Hostages” al Cinema Ritrovato 2020
Hostages si potrebbe forse definire un caso in cui l’insieme è un po’ peggio della somma delle sue parti: straziante e delicatissimo è l’ultimo saluto del padre alla tomba della figlia morta (forse la scena migliore del film), trionfante e liberatoria è l’esplosione delle bombe in giro per la città, sagace e spietata è l’ironia nei dialoghi fra i gerarchi nazisti nella loro superba vanagloria. E la battuta finale, pronunciata con pomposo sussiego, su come essi procedano per la retta via senza distinguere fra poveri e ricchi, sembra fare da glossa beffarda non solo al loro regime, ma alla discrezionalità del potere in toto.
Le chiavi di vetro di Tuttle e Heisler
Il diverso tono dei due film dà luogo a un interessante caso di doppia variazione sul tema, incarnata dai due Ed rispettivamente interpretati da George Raft e Alan Ladd: il primo è diretto e ironico, a tratti persino spensierato, il secondo più obliquo e impassibile, capace di manipolazioni ben più ciniche. Differenze che riverberano sia nello stile – essenziale nel primo film, elaborato e supportato da una macchina da presa molto più mobile nel secondo – sia nell’andamento della narrazione intorno ai protagonisti: più asciutto e rapido La chiave di vetro di Tuttle, in cui il dettaglio determinante per la risoluzione finale è suggerito molto presto, più elaborato e grave quello di Heisler, che dà alle false piste una direzione più contorta e cupa, con la sequenza, assente nel primo film, dell’incontro alla villa dell’editore Matthews, che culmina in modo drammatico.
“Il fuorilegge” al Cinema Ritrovato 2020
Oltre alla potente chimica della coppia Lake-Ladd, che li avrebbe fatti tornare a lavorare assieme in altri tre film, fra cui La chiave di vetro di Stuart Heisler di lì a pochissimo, Il fuorilegge vanta un’esemplare combinazione di atmosfere noir, battute pungenti come nello stile del genere, e sincopate scene d’azione (mirabile – e copiata – quella del salto sul treno). Tuttle è nel pieno della maturità artistica e del possesso dei mezzi espressivi, e li usa per argomentare la spietatezza di Raven che, non più giustificata dal viso deforme, si fa trauma infantile e ingiustizia sociale. Continuano i suoi riferimenti, a questo punto nemmeno tanto velati, a come i capitalisti e i magnati dell’industria facciano uno sporco gioco, e le benintenzionate forze dell’ordine finiscano inavvertitamente per fare i loro interessi. Sembra pensare, nel solco della migliore tradizione del gangster movie, che ciò che dovrebbe terrorizzare il pubblico può forse svegliarlo.
“Roman Scandals” al Cinema Ritrovato 2020
Il museo degli scandali (Roman Scandals, 1933) è un meccanismo a orologeria e la perfetta commedia con budget dei primi anni ’30, quando passato lo shock del sonoro si è appena compresa la forte presa sul pubblico di una parte musicale ben curata. Samuel Goldwyn non vuole fare mancare nulla al pubblico della Grande Depressione, bisognoso di svago: battute senza sosta e un tocco di slapstick, canzoni appiccicose e balletti indiavolati, scenografie stupefacenti e donne simili a dee, inseguimenti a perdifiato e persino lo stupore esotico di scimmie e leoni. Le donne sono qui oggetti del desiderio eppure Tuttle, che tanto spazio ha riservato loro nella sua filmografia, riesce con tocco leggero a renderle al contempo anche soggetti dalla indomita volontà o dalla ferale e melliflua astuzia.
Un tocco di Frank Tuttle e Stuart Heisler tra Cary Grant e Bette Davis
Diversi, eclettici, entrambi al lavoro per la Paramount e ugualmente relegati ai margini del canone hollywoodiano, Frank Tuttle e Stuart Heisler sono protagonisti della retrospettiva curata da Eshan Khoshbakht, I fuorilegge: Frank Tuttle vs. Stuart Heisler, al tempo stesso appaiati per affinità di vedute politiche e messi in contrapposizione da quel versus nel titolo: a sottolineare la natura comparativa della selezione e la differenza stilistica dei due registi, che rappresentano il perfezionamento del mestiere della regia e la capacità di muoversi tra i generi più disparati sfruttando i talenti a disposizione.