Il mondo ha bisogno di bontà come di luce (Vittorio De Sica)

La genesi di questo film risale a molti anni prima e coincide con l'inizio del rapporto osmotico che lega Cesare Zavattini e Vittorio De Sica per tutta la vita. Nel 1939, De Sica pone fine ai tentennamenti del regista e produttore Giuseppe Amato, comprando direttamente da Zavattini il soggetto dal titolo Diamo a tutti un cavallo a dondolo, con l'intenzione di proporlo al regista Mario Camerini. Il cantore di Luzzara, lungimirante, gli scrive:

"Caro De Sica, aspetto con ansia che tutto vada bene, perché sento che per la prima volta nasce una collaborazione assolutamente eccezionale. Io credo che nessuno abbia come Voi la capacità di penetrare sino in fondo alla poesia del soggetto, rendendolo comunicativo e direi popolare".

In queste poche righe è concentrata l'essenza di un incontro di anime affini unico. Il progetto, così come lo conosciamo dalle carte conservate nell'Archivio Rissone - De Sica, non avrà una vita cinematografica propria. Un anno dopo, nel 1940, si trasforma in un soggetto fatto su misura per l'inimitabile attore napoletano Totò, dal titolo Totò il Buono e pubblicato nel periodico Cinema. Neppure questa manifestazione scritta trova posto sullo schermo. Zavattini ne fa un romanzo che esce nel 1943; poi, scompare nuovamente, tra le macerie della seconda guerra mondiale. Ma, come una fonte d'acqua sotterranea, alimenterà segretamente i capolavori che hanno sancito la grandezza di questi due guitti geniali - Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948) –, riemergendo in superficie dieci anni dopo, per diventare, finalmente, Miracolo a Milano (1950).

De Sica, in un'intervista di Giuliano Ferrieri, pubblicata su L'Europeo nel novembre del 1974, in occasione della sua scomparsa, racconta:

"Io sentii in quegli anni, dopo i primi film del neorealismo, un certo smarrimento [...]. Cioè, prima rendevamo sullo schermo il momento che vivevamo, in quei giorni, in quell’anno: la cronaca ci nutriva e ci dava forza, subito dopo la guerra vivevamo passioni umane ben definite, ben chiare. Poi le passioni sono mutate, ci allontanavamo da una certa situazione morale e una specie di angoscia ci stringeva: la minaccia di una nuova guerra, la cattiveria. [...] Dalla mancanza di solidarietà stavamo scivolando nell’odio. Di qui, forse, la spinta interna che ci indirizzò verso la favola come via di evasione. Benché, per Miracolo a Milano, ci fu anche un altro ragionamento che stimolò me e Zavattini: avevamo paura che il neorealismo diventasse formula, e allora abbiamo fatto questo tentativo, di applicare il neorealismo a tutte le forme dello spettacolo, e così anche alla favola".

Sulla resilienza e il trasformismo di questo progetto che, come gli attori di Sei personaggi in cerca d'autore, vuole esistere a tutti i costi, Maria Carla Casserini ha scritto un libro che ricostruisce passo passo le sue molte vite. Quello che Miracolo a Milano comunica ancora oggi con una forza sorprendente, è la convinzione incrollabile dei suoi autori nel superamento della paura della diversità e dell'odio tra le classi sociali, tra ricchi e poveri, tra chi detiene il potere e chi lo subisce, attraverso la poesia.

Ogni inquadratura del film ne è intrisa, persino quelle in cui gli impotenti effetti speciali non nascondono i fili a cui sono attaccate le scope su cui volano via i poveri della baraccopoli ai margini della città di Milano, sulle note di Ci basta una capanna. Si può immaginare che quegli stessi fili rappresentino metaforicamente la trama e l'ordito dell'Archivio di Vittorio De Sica e della moglie Giuditta Rissone; confidato dalla figlia Emi e da suo marito Sergio Nicolai alla Cineteca di Bologna, è ora accessibile alla consultazione. Scoprirne i segreti, non toglie nulla alla magia che queste carte possiedono.

Immagine iniziale:  Quaderno scolastico: in copertina una scena di Miracolo a Milano; in quarta di copertina lettera di Vittorio De Sica dedicata alle nuove generazioni. Archivio Rissone – De Sica