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“Sciuscià” e la genesi del film
“Erano i giorni che sapete e ne avevo già visto abbastanza per sentirmi profondamente turbato, sconvolto; le donne che andavano in camionetta con i soldati, gli uomini e i ragazzini che si buttavano in terra per afferrare le sigarette o le caramelle. Agli adulti pensavo meno che ai bambini; e pensavo: ‘Adesso sì che i bambini ci guardano!’. Erano loro a darmi il senso, la misura della distruzione morale del paese: gli sciuscià” (Vittorio De Sica”).
“Sciuscià” e la critica
Il ritorno in sala di Sciuscià, all’interno del progetto Cinema Ritrovato al Cinema, permette di guardare con occhi nuovi al capolavoro neorealista di Vittorio De Sica. Ci accompagnano nella riscoperta alcune fonti critiche (sia d’epoca sia della cinefilia moderna) decisamente suggestive. Come scriveva Dino Risi: “Sciuscià è un film italiano, italiano come la nostra miseria, come il nostro sole a lutto, come il nostro amore ferito”.
“La Ciociara” e la consacrazione della star
La Ciociara (1960) apre la decade della definitiva consacrazione di Sofia Loren a star internazionale, status a cui il film di De Sica contribuisce in modo determinante facendo vincere all’attrice, tra i tanti prestigiosi riconoscimenti, quello più ambito: l’Oscar per la migliore interpretazione femminile. La Ciociara doveva essere inizialmente il film di due star, con Anna Magnani nel ruolo di Cesira e Loren in quello della figlia. I dubbi e il rifiuto finale della Magnani furono alla base della trasformazione del film in un veicolo per la Loren, unica vera star, in grado di mettere in ombra non solo la giovane co-protagonista Eleonora Brown ma anche attori maschili più noti come Raf Vallone e Jean Paul Belmondo. Il ruolo di Cesira, vedova che gestisce abilmente un negozio di alimentari nella Roma della fine della Seconda Guerra Mondiale, venne quindi ringiovanito considerevolmente per essere interpretato dalla Loren.
“Ieri, oggi, domani” e il realismo “de core” all’italiana
Dal carosello napoletano in cui annaspa la “sigarettara” Adelina, di gravidanza in gravidanza, all’episodio on the road lungo la Milano-Laghi, fino all’iconica storia di Mara, prostituta d’alto bordo in cerca di redenzione, il film crea una vivida rappresentazione della vita urbana del belpaese, passando dal colore acceso partenopeo al manierismo romano (a cui una mano hanno dato Giuseppe Rotunno con le sue cartoline capitoline e la straripante Sophia Loren che manda in estasi Mastroianni sulle note di Abat-Jour nella celebre scena dello striptease).
Mara Blasetti e Giuditta Rissone. Storia delle donne del cinema italiano
Come sempre al Cinema Ritrovato è possibile rivedere e rivivere le carriere di grandi del cinema del passato, ma anche approfondire le vite di personalità altrettanto importanti per la settima arte, ma meno conosciute. E forse tale risvolto rende ancor più prezioso questo festival. Stiamo parlando di film come Ritratto di Mara Blasetti e Mia madre, Giuditta Rissone, il primo diretto da Michela Zegna e il secondo da Anna Masecchia e Michela Zegna. Entrambi i lavori sono stati concepiti a partire da materiale d’archivio, ma l’intenzione delle autrici è stata quella di renderli fruibili e appetibili a tutti e non solo a chi frequenta ambienti accademici o cinetecari. E sembrano esserci riuscite.
“Miracolo a Milano” al Cinema Ritrovato 2019
Forse Miracolo a Milano – tanto apprezzato all’estero (primo premio al Festival di Cannes e altri prestigiosi riconoscimenti negli Stati Uniti) quanto incompreso e osteggiato in patria – faceva paura proprio perché sfuggente e limpido, dominato dalla trasparenza di un messaggio così chiaro e semplice veicolato da un linguaggio surreale del tutto unico per il cinema italiano di quegli anni. Esito tra i più compiuti della poetica di Zavattini, trova nella regia ferma e sublime di De Sica (ribadiamolo: che magnifico direttore di attori!) la possibilità di una visione fantastica e universale: della quale si ricorderà Steven Spielberg: i ragazzini in bici di E.T. in fuga da questo mondo spietato come i poveri a cavallo delle scope in partenza da Piazza del Duomo verso un altrove migliore…
La genesi di “Miracolo a Milano”
La genesi di questo film risale a molti anni prima e coincide con l’inizio del rapporto osmotico che lega Cesare Zavattini e Vittorio De Sica per tutta la vita. Nel 1939, De Sica pone fine ai tentennamenti del regista e produttore Giuseppe Amato, comprando direttamente da Zavattini il soggetto dal titolo Diamo a tutti un cavallo a dondolo, con l’intenzione di proporlo al regista Mario Camerini. Il cantore di Luzzara, lungimirante, gli scrive: “Caro De Sica, aspetto con ansia che tutto vada bene, perché sento che per la prima volta nasce una collaborazione assolutamente eccezionale. Io credo che nessuno abbia come Voi la capacità di penetrare sino in fondo alla poesia del soggetto, rendendolo comunicativo e direi popolare”.
“Ladri di biciclette” e la critica
Un’antologia critica riguardante Ladri di biciclette non può che suscitare grande ammirazione per i nomi coinvolti. E così, un capolavoro del neorealismo diventa occasione per rileggere i classici e osservare processi e metodi della grande critica del passato. “Perché questa, della pietà, è la prima e più appariscente ‘morale’ del film. Noi che tante volte siamo stati tentati di discorrere di quel capitale specchio del costume che è il cinema e non l’abbiamo fatto per non ricamare variazioni letterarie su di un mezzo espressivo la cui struttura tecnica ci è quasi sconosciuta, non parleremmo di questo film se non fossimo convinti che Ladri di biciclette è un documento di importanza eccezionale per la cultura italiana” (Franco Fortini, “Avanti!”, 15 marzo 1949).
Una bicicletta rubata che ha fatto il giro del mondo
L’Academy tributò a Ladri di biciclette l’Oscar come miglior film straniero. De Sica di colpo venne catapultato tra i grandi cantori del Novecento, con anche il merito di aver riabilitato l’immagine del Bel Paese agli occhi del mondo. Una testimonianza d’oltre oceano, finora sconosciuta, che conferma la portata universale che questo film ha saputo esprimere, la si trova in una trascrizione radiofonica inviata per posta da un amico, Pio Campa, attore e impresario teatrale che tra gli anni Venti e Trenta aveva condiviso con De Sica il palcoscenico e alcuni set cinematografici. Dalla lettera del 24 dicembre 1949 che accompagna la trascrizione, si scopre che è il figlio di Campa, Roberto, emigrato a New York alla fine della guerra per cercare fortuna, a essere lo speaker della rubrica radiofonica “Letterine natalizie da Broadway”, poi trascritta e inviata. Leggiamola.