Una grande opera d’arte del cinema muto italiano e uno dei film più importanti e studiati della storia del cinema è La Gerusalemme liberata di Enrico Guazzoni, già cartellonista e decoratore, dal 1907 autore in casa Cines de Il poverello di Assisi (1911), Quo Vadis? (1913) e Marcantonio e Cleopatra (1913), per citare i più noti. Una prima versione in pellicola della Liberata, da ritenersi ad oggi  perduta, fu realizzata nel 1911: tra gli interpreti vi figuravano Giovanna Terribili Gonzales, Fernanda Negri-Pouget, Emilio Ghione e Amleto Novelli. La seconda versione prodotta dalla Guazzoni-film datata 1918 ci è giunta integra ed è una copia testimone conservata al CSC – Cineteca Nazionale di Roma, che presenta le didascalie esplicative in inglese e imbibite di rosso. Si basa anch’essa, come la princeps del 1911, sull’omonimo poema di Torquato Tasso (1544-1595) ambientato durante il sesto anno della prima crociata, poco prima della conquista definitiva di Gerusalemme.

Come nel poema di Tasso, lodato e rinomato per i suoi intrecci narrativi di vicende di guerra e d’amore, anche il film di Guazzoni non sbaglia a costruire un’architettura su misura, adatta agli intricati giochi di alternanza guerra-amore. Con molta probabilità risulta abbastanza difficile per chi non conosce l’opera di Tasso seguire con attenzione le vicende di Tancredi (Amleto Novelli), Armida (Edy Darclea), Clorinda (Olga Benedetti) e Rinaldo (Bepo A. Corradi).

Le lunghe e vorticose scene di battaglia in cui vennero adoperate centinaia di comparse e cascatori hanno il potere ipnotico di far dimenticare per un attimo il contesto narrativo in cui ci si trova, per cui risulta spesso difficile recuperare le fila della storia. Inoltre, siamo ancora a uno stadio primordiale dei movimenti di macchina (la maggior parte delle inquadrature sono fisse), eppure il dinamismo dato dalla fluidità dei gesti drammatici e marcati dei personaggi posti in primo piano, insieme a quanto accade sullo sfondo (l’azione posta in secondo piano è così vivida da poter effettuare senza problemi un montaggio interno), al largo impiego di effetti speciali come le sovraimpressioni e ai dettagli dei costumi, delle acconciature e del trucco non lasciano per nulla spazio ad alcun tipo di distrazione.

Essendo un kolossal storico, tratto appunto da un poema di alto spessore culturale, il concetto di “noia”, per uno spettatore contemporaneo, non è da sottovalutare, ma se pensiamo a tutti i minuziosi dettagli anche di un solo abito femminile, alle ambientazioni esotiche, alle donne battagliere o ai baci interrotti da un improvviso attacco della fazione nemica, potremmo dire che il lavoro di Guazzoni non ha nulla a che vedere con la banalità. Forse Tasso sarebbe stato contento di vedere realizzata quattro secoli più tardi una così imponente trasposizione visiva; sicuramente, senza ombra di alcun forse, chi ama il muto italiano rimane incantato dalla Gerusalemme liberata di Enrico Guazzoni.