“As we, or mother Dana, weave and unweave our bodies,

Stephen said, from day to day, their molecules shuttled to and fro,

so does the artist weave and unweave his image.”

  1. Joyce, Ulysses

 

Per un curioso intreccio cinefilo il ritorno di Cronenberg alla regia, otto anni dopo Maps to the Stars, era accompagnato a Cannes da De humani corporis fabrica di Lucien Castaing-Taylor e Véréna Paravel (Quinzaine des Réalisateurs). Il film di Castaing-Taylor e Paravel usa lo sguardo, il contatto e la prospettiva per entrare nel corpo e mostrare le sfumature del paesaggio umano. Il titolo è un omaggio all’omonimo trattato di anatomia di Andreas van Wesel, o Vesalio, che nel 1542 superò le teorie di Galeno sul corpo. Nel frontespizio di alcune edizioni antiche Vesalio conduce un’autopsia circondato da una folla.

Eccoci tornati a Cronenberg: quasi 500 anni dopo chirurgia, performance e autopsia sono al centro di Crimes of the Future. Così come l’idea meccanica del corpo, da sempre cara al regista, che in una vecchia intervista con Enrico Ghezzi sottolineava il fascino per l’osservazione dell’interno delle macchine: da lì, diceva, si può capire la mente di chi le ha create.

In Crimes of the Future Cronenberg immerge lo sguardo nel corpo verso una spasmodica ricerca di senso: gli organi diventano tele da incidere, i cadaveri poemi da leggere (e cercare di comprendere), le viscere bellezza interiore e il corpo viaggia più veloce della mente, che forse alla fine è soltanto una sua estensione difettosa. Body is reality. Girato in un’Atene irriconoscibile il film si muove fra relitti e rovine in ambientazioni quasi teatrali.

La costante violenza (fisica) cerca, e forse riesce, ad anestetizzare lo spettatore proiettandolo nell’anestesia innata degli uomini e delle donne del futuro, che hanno ormai una soglia del dolore altissima. Solo così sono possibili le performances in cui si esibiscono Saul Tenser (Viggo Mortensen) e la sua assistente Caprice (Léa Seydoux): operazioni chirurgiche dove gli organi che il corpo di Saul produce sono tatuati e asportati da Caprice. Saul è la star di questo mondo artistico, in cui le performances sono seguite da una folla che filma con videocamere diverse ma datate.

Il gioco di Cronenberg sulla tecnologia è sottile e, oltre a recuperare suggestioni visive già sperimentate (Dead Ringers, eXistenZ), cerca di togliere punti di riferimento per creare un futuro indefinito, atemporale. Lo spazio diventa così fortemente simbolico: è il luogo della lotta. La sublimazione dell’arte, alla fine, è solo una forma di reazione, molto freudiana, alla ribellione del corpo, un modo per darle senso. Ma non è l’unico: c’è la repressione della polizia; lo studio analitico degli uffici governativi che vorrebbero registrare i nuovi organi; la cospirazione di una setta che promuove, attraverso la chirurgia, la digestione della plastica come via di sopravvivenza futura. C’è l’omicidio. Fra queste tensioni vengono sospinti Saul Tenser, il suo corpo e il cadavere di un bambino che si intreccia fino a confondersi col protagonista.

Risultano molto efficaci le atmosfere noir, che esaltano questa tensione, sostenute dalla fotografia di Douglas Koch e dalla colonna sonora di Howard Shore. L’interpretazione di Viggo Mortensen incarna ed esprime il dolore del cambiamento fisico, che fatica a trovare una via d’uscita, lottando continuamente. Emerge quindi la fatica della mente e dell’uomo a seguire le potenzialità del corpo e i suoi cambiamenti futuri. Ma il film, comparso nella mente di Cronenberg già alla fine degli anni Novanta, tocca più contemporaneità di quella che si possa immaginare: sono recenti le scoperte di batteri in grado di digerire la plastica e della presenza di microplastiche nel sangue degli esseri umani.

Il regista sfrutta lo spazio della fantascienza per portare all’estremo problemi attuali, riproponendo anche temi e immaginari a lui cari. Tornano anche alcuni limiti del cinema di Cronenberg, ma l’atmosfera noir permette di digerire meglio una sceneggiatura a tratti pesante, che rischia di perdersi, nonostante l’ironia, nelle spiegazioni e nelle riflessioni sull’arte. Merito del noir, certo, ma anche della potenza visiva delle immagini, spesso migliori delle massime: la ricerca del piacere di due corpi abbracciati e incisi da un bisturi, forse, vale più di un altro “surgery is the new sex”.

Proprio il sesso avvolge un nucleo profondo dell’opera. A margine della presentazione del film Cronenberg ha dichiarato che il body-horror non esiste, per lui, da un punto di vista creativo e Crimes of the Future non è un film diverso da Cosmopolis o A Dangerous Method. Forse c’è qualcosa di più oltre la provocazione. La realtà totalizzante del corpo si staglia nel film in contrasto con la mente o, almeno, con una forza reazionaria che l’uomo deve e dovrà affrontare.

Una forza che, a un secondo sguardo, rende Crimes of the Future una versione rovesciata di A Dangerous Method: da una parte un mondo luminoso e armonico deformato, come il volto di Keira Knightley, dalla repressione delle pulsioni del corpo. Dall’altra un futuro cupo che aspetta luce dalle viscere. E, forse, potrebbe trovarla.