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“The Shrouds” e il lutto cronenberghiano

Morto un Cronenberg non se ne fa un altro. Ancora oggi The Shrouds mette sul tavolo un’idea inedita, forse una sola, ma di una potenza tale che parlare di cinema diventa riduttivo: qui si parla di frontiere della visione, della capacità di ragionare sulle fasi dell’esistenza umana in modo ferocemente originale. Non esiste da nessuna parte – di sicuro nel cinema “occidentale” – uno sguardo sul lutto, la morte, la sepoltura che somigli a quello di The Shrouds.

“Videodrome” e la critica

Che cosa di disse, all’epoca, di Videodrome? L’antologia critica del capolavoro di David Cronenberg restaurato (in sala grazie a Cinema Ritrovato al Cinema) è decisamente istruttiva. Come scriveva Tim Lucas nel 1983: “Videodrome sembra essere l’unico film finora prodotto negli anni Ottanta ad avere un senso chiaro di quello che comporta la sua decade, l’unico che affondi i denti nella carne del suo tempo. È incentrato sul pubblico: il suo bisogno di evasione, la sua amara mancanza di soddisfazione, il suo flirtare nichilistico col dolore per provare che può ancora sentire qualcosa, l’estremo spiazzamento che tutto questo comporta”.

“Videodrome” inesauribile e contemporaneo

Tanto è stato scritto su questo film, scomposto e analizzato fin nelle sue componenti minime. Eppure, ad ogni nuova visione colpisce sempre un dettaglio, un’intenzione autoriale, una direzione interpretativa nuova. Per questo Videodrome è un film inesauribile, in continua reincarnazione, che si adatta al contesto ricettivo di qualunque contemporaneità. È la rappresentazione di un disagio trasnumano, di una tensione esistenziale/tecnologico non ancora dispiegata.

La luce dalle viscere. “Crimes of the Future” e lo sguardo sul corpo

In Crimes of the Future Cronenberg immerge lo sguardo nel corpo verso una spasmodica ricerca di senso: gli organi diventano tele da incidere, i cadaveri poemi da leggere (e cercare di comprendere), le viscere bellezza interiore e il corpo viaggia più veloce della mente, che forse alla fine è soltanto una sua estensione difettosa. Body is reality. Girato in un’Atene irriconoscibile il film si muove fra relitti e rovine in ambientazioni quasi teatrali.

“Crash” di David Cronenberg a Venezia Classici 2019

“Mi piacciono tanto le manie. Ne coltivo qualcuna e ne parlo anche, qua e là. Le manie possono aiutare a vivere. Compiango gli uomini che non ne hanno”. Non è difficile pensare a un accostamento, o meglio, a una comunanza di idee e immaginario tra l’autore di quest’affermazione Luis Buñuel e le difformità del cinema di Cronenberg, perché in entrambi è vitale il bisogno di dare forma a tutto il rosario di corpi martirizzati che conosciamo e lo sguardo cinematografico legittima così ciò che fino a ieri era proibito. In Crash, come in Bella di giorno (1967) o Tristana (1970) lo spettatore è ingabbiato nella brutalità di un eros che sconfina nel grottesco e nell’aberrante, in un fuori dall’ordinario che però lo attanaglia. Le ossessioni per le offese corporali di stampo sadiano riecheggiano nelle immagini di Cronenberg e nel feticismo per le carni dilaniate e metalliche di Crash.