Di scrittori che diventano attori sullo schermo non se ne vedono molti. Con indimenticata presenza scenica poi, ancora meno (nel panorama italiano, torneremmo a Vitaliano Trevisan in Primo amore di Matteo Garrone, del 2004). La lucina, tratto dall'omonimo romanzo di Antonio Moresco del 2013, vede quest'ultimo oltre che co-sceneggiatore anche curiosamente protagonista, nei panni di un uomo ritiratosi in una casa immersa nel bosco che, dopo aver vissuto in completa solitudine, scorge una notte una piccola luce sull'altro lato della vallata. Non sapendosene dare una spiegazione, e dopo aver chiesto invano spiegazioni in paese, decide di raggiungere quel luogo faticoso e vi trova un bambino (Giovanni Battista Ricciardi) che vive solo come lui, sbrigando i lavori di casa e andando a scuola.
Rivelare qualcosa di più della trama senza compromettere la visione di questo puzzle esistenziale, con tanto di colpo di scena conclusivo, non è possibile. Ma sin dall'inizio tutto, ne La lucina, suggerisce a chi guarda la necessità di uno spostamento di prospettiva: insoliti le inquadrature, le messe a fuoco, gli stacchi di montaggio, addirittura i titoli di coda. Il passo del racconto lento, quasi estenuato, reca in sé una forte affermazione sull'essenza delle cose. La natura in cui il film è immerso (una sfolgorante quanto elusiva Basilicata) è una protagonista fondamentale del film, non solo uno sfondo.
In essa la morte e la corruzione delle cose sono onnipresenti e costitutive del tutto: dagli animali senza vita nel bosco, alle stanze sbreccolate, ai muri ai quali il terremoto aggiunge una larga crepa. La solitudine si fa silenzio, i dialoghi sono ridotti al minimo. Così come Moresco è un intellettuale unico, al di là di ogni scuola o moda, così anche Fabio Badolato e Jonny Costantino, produttori, registi e montatori del film, sono riusciti a ideare soluzioni filmiche di maestosa semplicità, volutamente fuori dal narrare filmico contemporaneo, originali eppure di impeccabile richiamo tarkovskjiano.
Se la resa di molti dei temi fondamentali del romanzo è ottimale, c'è da dire anche che, in così tanto silenzio, ogni singola parola acquista grande peso. E così, dolente nota finale, spiace dire che nonostante l'impressionante capacità di Moresco di riempire lo schermo, le sue limitate capacità recitative nuocciono purtroppo alla immersività della narrazione. Per quanto Badolato e Costantino abbiano affermato che non avrebbero potuto realizzare il film con nessun altro se non lui, così come si sono compiaciuti di aver utilizzato come attori solo abitanti dei paesini della Basilicata in cui giravano (e qualche sguardo in macchina di troppo resta a testimoniarlo), forse in realtà qualche professionista in più non avrebbe stonato. A parte questo, una esperienza sullo schermo impegnativa ma di rara intelligenza.