"E così voi credete nella realtà! Mi affascinate davvero.

Avanti, parlatemene, di questa realtà!

Ma via, sottraetevi a queste candide fantasie.

Siamo noi che la creiamo questa realtà!"

Honoré De Balzac

 

Non è solo un film di resurrezioni (visive, metaforiche, narrative) il nuovo, atteso circa vent’anni, capitolo della saga iniziata nel 1999 dai fratelli Wachowski. Intanto loro però sono diventati sorelle Wachowski e, film dopo film, hanno posto le basi per un approccio alla narrazione cinematografia completamente nuovo, qualcuno direbbe, a ragione, addirittura fluido. Se c’è un universo che ha dato un impatto fortissimo all’immaginario cinematografico, creando una vera e propria “mitologia dell’immagine” per dirla con Roland Barthes, è proprio quella di The Matrix.

Che forse  non aveva, nel 1999 (anno seminale, a un passo dal 2000, come se fosse una sorta di chiave di volta di tutto il cinema che sarebbe venuto dopo), una forte originalità narrativa: basti pensare che quattro anni prima era uscito, sempre con Keanu Reeves, Johnny Mnemonic, che, oltre all’attore protagonista, ha in comune alcune tematiche meta testuali come (e soprattutto) la nuova percezione della realtà filtrata dai computer. Il guru del postpunk Gibson in quel caso era stato alla sceneggiatura, influenzando sicuramente i Wachowski, insieme a tutto il mondo del cinema cinese del wuxiapian e a parecchia produzione animata di derivazione orientale.

L’universo Matrix ha infatti la capacità di creare non solo un nuovo Mo(n)do visivo, inaugurando e cambiando totalmente il cinema digitale (pensiamo al bullet time di John Garia, dodicimila fotogrammi al secondo), ma anche narrativamente, con i due film successivi The Matrix Reloaded e The Matrix Revolutions (pensati e usciti l’uno a ridosso dell’altro nel 2003) che pongono le basi (o meglio i lati) di una trilogia mancata. Questo aspetto diventa fondamentale per poter affrontare The Matrix Resurrections.

La realtà si diceva. È lo stesso Neo, in quest’ultimo capitolo, a guardare fuoricampo più volte chiedendosi cosa volessero intendere tutti gli altri con questa parola. Gli altri, ma non (ancora) lui, l’Eletto. Il cammino cristologico di Neo (rinforzato addirittura testualmente: le tre erre che seguono i tre titoli sono una sorta di triade ipotetica finale, oltre a un richiamo di ripresentazione di un universo) arriva a compimento: (ri)nasce nel 1999, ha consapevolezza di sé nel successivo film dove compie addirittura diversi miracoli e dove si immola per Zion nell’ultimo capitolo, esplodendo (solo virtualmente?) e lasciando una scia che raffigura una croce. Il passaggio successivo, mettendo in campo diverse concezioni religiose, è la resurrezione: non solo individuale, ma collettiva come precisa la esse del titolo.

A dirigere questa totale rinascita di Matrix c’è però solo una metà delle sorelle, Lana Wachowski (che sceneggia e produce insieme alla compagna Rita) e che decide di mettere in scena un vero e proprio apparato nostalgico, intenso nel vero e proprio senso etimologico del termine, come “ritorno”. Il ritorno alle origini, il ritorno ai personaggi, il ritorno a Matrix, il ritorno all’amore. Ma come ci si approccia, nostalgicamente, a una mitologia? Semplicemente distruggendola e rimodellandola e addirittura ironizzandola. È l’Anti-Matrice (se ne legge in Effetto Notte di Gino Frezza edito dalla Meltemi nel 2006) che prende totale consapevolezza del sé, in un rifacimento di immaginari e mitologie senza precedenti.

La meta-testualità messa in campo dalla regista vuole essere una sorta di summa e ribaltamento e messa in discussione del wachowski-pensiero: Neo diventa un creatore a sua volta di universi di controllo, diventando egli stesso una sorta di Architetto (si pensi a tutta la tematica legata ai videogames e alla presenza più o meno invasiva del giocatore); diverse scene dei capitoli precedenti appaiono come sorta di flashback (o sono flashforwards?) nella mente di Neo e infine è proprio in un cinema (luogo di percezione spettatoriale per eccellenza e dove si proiettano frames dei precedenti film) che il protagonista ingoia la nuova pillola rossa.

Purtroppo il gioco (e mai termine fu più coerente) non regge molto: le famose scene di combattimento acrobatiche, che già nel secondo capitolo potevano iniziare a stancare, in questo ultimo film si sono a quanto pare normalizzate, perdendo molto ritmo, forse addirittura visivamente pilotate, come a cercarne una motivazione narrativa maggiore. Lo stesso accade per alcuni momenti di sceneggiatura, dove c’è una sorta di soffusa sospensione drammaturgica e dove lo spettatore meno avvezzo può non reggere molto.

Ma Lana infila perle straordinarie: il personaggio dell’Analista (Neil Patrick Harris) che compare in alcune scene girate in bullet time ma muovendosi a velocità normale (lui è l’apparato del genere commedia del film); il brainstorming degli sceneggiatori del nuovo videogames, che non fanno altro che ridicolizzare le scene cult della saga; il nuovo look dell’agente Smith (Jonathan Groff) e la ricomparsa (inutile ma spassosissima per i fan) del Merovingio (Lambert Wilson).

Un film, Matrix Resurrections, che apre diverse e svariate strade interpretative e che ribadisce ancora una volta che la Realtà, oggi (e forse già dal 1999) è di difficile e multiforme catalogazione. Gli stessi corpi diventano inclassificabili e riconoscibili: la nuova “versione” di Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II) , ad esempio, non è altro che una sorta di ibrido che acquista corporeità diverse in base alle realtà che abita. La dimensione corporea poi si lega in maniera fortissima a quella del genere: a capo della nave, quasi come tutto l’equipaggio, che salva Neo c’è una donna (Jessica Henwick); è sempre una donna (Jada Pinkett Smith invecchiata) ora a comandare la nuova Zion; è una donna (la cresciuta Sati, interpretata da Priyanka Chopra) che guida la missione che dovrà salvare Trinity e non a caso prende la forma ambigua di un volatile asessuato. Ed è sempre Trinity (una Carrie-Anne Moss sempre bellissima) che chiude il cerchio: nel primo Matrix, sostituendosi al principe delle fiabe, risveglia Neo (bello e addormentato) dalla morte.

In Resurrections lo salva dalla caduta, diventando essa una parte (necessaria) dell’Elett*. Fluidità si diceva: il Bianconiglio va seguito di nuovo, non più attraverso un telefono, ma uno specchio, che oltre ad essere oltrepassato riflette la Realtà. Ma quale? «Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare», cantava Battiato ne La cura: con Neo e Trinity ha quasi fatto centro. Matrix, invece, con questo capitolo, si apre a (possibili e infiniti) percorsi narrativi.