Pietro Ammaturo
“Lo spaventapasseri” cinquant’anni dopo
Basterebbero i primi sette minuti del film (girati senza stacchi di montaggio a camera praticamente ferma) a esprimere la grande potenza di quest’opera e alla sua importanza nel cinema coevo: una figura in lontananza scende da un pendio, il contrasto è ad impatto fortissimo, tra lo sfondo del cielo (buio per l’approssimarsi di un temporale: attenzione non solo meteorologico, ma anche narrativo e quindi metaforicamente centrale) e una piccola collina, piena di grano di un giallo accecante, dove al centro si staglia un albero senza foglie.
“Paper Moon” 50 anni fa
Bogdanovich ci dimostra di poter usare il cinema per una riflessione diacronica e sincronica. L’anno prima di Paper Moon, il regista aveva diretta Ma papà ti manda da sola? sorta di remake di Susanna! (1938) e, nel 1971, in L’ultimo spettacolo aveva raccontato la fine di un certo stile cinematografico attraverso la sua stessa metafora spettatoriale. Questa caratteristica cinefila si manifesta in maniera ancora più deflagrante nella pellicola del 1973 dove la contrapposizione donna-uomo diventa momento di riflessione sulla storia del cinema e dell’intera società americana.