Nello stesso periodo dell’anno in cui dei lauti banchetti festivi non rimangono che avanzi, esce in Italia Matrix Resurrections, evitabile reboot/sequel (termini ormai interscambiabili che sottendono sempre alla riproposizione di qualcosa già visto) della celebre saga di fantascienza targata Wachowski. Ero prevenuto riguardo al film in questione, in virtù dell’adeguata conclusione della trilogia originale e, a visione conclusa, rimango dell’opinione che produrre questo nuovo capitolo sia stata una pessima idea.

Nondimeno, Lana Wachowski è un’autrice di indubbia abilità e riesce a giocare una bella partita nonostante le brutte carte. Questo Matrix fa pensare a un disseppellimento più che a una resurrezione, ma almeno non sfocia nella profanazione. La prima cosa a saltare all’occhio, già dai primi minuti di visione, è l’estrema autoreferenzialità dell’intera operazione. Dapprima cerca di integrare il canone originale in un contesto diegetico nuovo, il che non è affatto una cattiva idea, ma risulta sbrigativo e intuibile nel suo sviluppo. Successivamente si scade un po’ troppo nel ridicolo con l’eccessiva riproposizione di sequenze estrapolate direttamente dalla trilogia precedente, e personaggi che le studiano per impararsi le loro stesse battute, come fossero ad un cineclub per fan di Matrix. Non avrei mai immaginato di pensare che Morpheus non si comporti abbastanza seriamente, e invece in certi segmenti sembra un personaggio di Guardiani della galassia.

Il problema narrativo che si pone inevitabilmente quando si riprende una saga dopo lustri, specie una così importante, è che l’autrice si trova costretta a riciclare i personaggi noti, ad uso dei fan di lunga data, quanto a riassumere i precedenti capitoli ai neofiti, o a chi comprensibilmente non ne ricorda i dettagli. In questo compito Wachowski se la cava bene, specie all’inizio, e non risulta né prolissa né ridondante, salvo poi riassumere la vita di ogni singolo personaggio secondario che viene inquadrato anche solo una volta nei primi tre film.

Non tutti i personaggi funzionano: l’analista è un villain insopportabilmente saccente, l’agente Smith è estremamente interessante ma poco sfruttato, mentre Morpheus sembra un bambino che imita male Morpheus. Il fatto curioso è che le performance attoriali migliori provengono proprio da chi interpreta i personaggi peggio scritti, di cui sopra. L’interpretazione di Keanu Reeves lascia straniti: forse ha calcato troppo la mano sul senso di spaesamento di Neo, che per due ore buone di film sembra costantemente ubriaco. Le scene d’azione sono invece molto ben gestite, calibrate tanto nella durata quanto nella coreografia. Wachowski sceglie saggiamente, in questo campo, di sfruttare meno esplosioni e più orde “umane”, specie nell’affollatissimo finale, il che restituisce bene il senso di opprimente controllo che il sistema Matrix può esercitare sui suoi nemici.

A conti fatti, nonostante la premura dell’autrice, l’opera non è nulla di imperdibile, ma finché a qualcuno non verrà in mente di produrre qualcosa di nuovo, dovremo accontentarci di adattamenti, sequel, remake, reboot, e combinazioni di questi. Anche gli avanzi possono essere buoni, ma non si può campare di avanzi.