Marnie, tratto da un romanzo omonimo di Winston Graham, è una vera e propria mirror gallery: dalla prima scena all’ultima inquadratura sul porto di Baltimora, lo schermo è occupato dalla ladra nevrotica impersonata da Tippi Hedren e tutte le donne che ne costituiscono un riflesso. La strategia iconografica mediante cui Hitchcock esplicita il legame tra la protagonista e le altre attrici è semplice ed immediata: quasi tutte le interlocutrici di Marnie hanno i capelli biondi, mentre l’unica antagonista, Lil, sfoggia un caschetto bruno. Marnie parla costantemente con sé stessa, e non sopporta se qualcuno, specie se un uomo insistente come Mark Rutland, si intromette nel suo solipsismo, magari tentando di curare la nevrosi che la tiene prigioniera.

Il maschile è quindi cifra di angoscia e timore, e la protagonista prova ad esorcizzarlo con il furto, tramite cui afferma silenziosamente la propria superiorità sul raggirato di turno. Di tutti gli ambienti impiegati, è la casa materna a simboleggiare, con una scelta scontata quanto efficace, il nucleo affettivo di Marnie: con l’apertura della porta d’ingresso veniamo ammessi nell’angolo più nascosto della psiche, a faccia a faccia con il trauma sapientemente custodito dalla madre. Non è quindi casuale che l’unico modo di espugnare le difese emotive di Marnie sia far penetrare all’interno delle mura domestiche una figura maschile, in grado di rimettere ordine nella sua mente disturbata e avviare un complesso processo di guarigione.

Interessante è la scelta del cast: Hitchcock avrebbe preferito assegnare la parte di Marnie a Grace Kelly che però, essendo divenuta Principessa di Monaco, non aveva intenzione prestare il proprio volto ad una cleptomane psicopatica. Dopo aver vagliato Vera Miles e Claire Griswold, il regista si convince a contattare Tippi Hedren, scoperta in una pubblicità di soft drinks, e firma così due film con l’attrice prima di abbandonarla in favore di Julie Andews. Per il male lead, Hitch sceglie Sean Connery, liberandolo momentaneamente, con suo grande sollievo, dalla maschera di James Bond. Curiosamente, nonostante la volontà di sfuggire all’identificazione totale con la  spia inglese, Connery sfoggia qui il campionario completo degli ammiccamenti di 007, relegando il suo Mark Rutland a maschera di una maschera.

Forse il film in cui Hitchcock si spinge più a fondo nell’esplorazione dell’animo femminile, Marnie è una gabbia di specchi, che proietta lo spettatore in mezzo alla querelle interiore di una donna ferita.