Tema del doppio, problematiche sessuali, comportamenti ossessivi e misteri (apparentemente) sepolti nel passato. C’è molto dell’Hitchcock migliore in Marnie (1964), film forse non ai livelli de La donna che visse due volte (1959) o Psycho (1960), ma comunque dotato di una carica turbativa e inquietante che, come nelle opere più riuscite del Maestro, anche qui si origina da un sofisticato connubio di soluzioni visive e sonore.
La drammaticità della storia di Marnie e del suo trauma rimosso è resa sul grande schermo dall’utilizzo di effetti speciali visivi – come fondali dipinti e inquadrature saturate dal colore rosso – esaltati da una colonna sonora dalle valenze molteplici. Ideata dal compositore storico di Hitchcock, Bernard Herrmann, la musica extradiegetica di Marnie è il correlativo oggettivo dell’(anti-)eroina della narrazione, o meglio dei suoi stati d’animo più interiorizzati e sfuggenti. La musica si fa esaltante nei momenti in cui Marnie ha messo a segno un altro colpo e cavalca libera il suo cavallo Florio; diventa angosciosa e graffiante durante le sue profonde crisi emotive; si fa intensa e appassionante, a tratti commovente, negli attimi di scontro e poi di avvicinamento con Mark. Fino a deflagrare, al limite della tragedia annunciata, nel tentativo di suicidio prima e nel confronto del sintomo (la cleptomania) poi.
Preceduto dall’uccisione dell’amatissimo Florio, il tentativo auto-inibito di Marnie di rubare, ancora una volta, i soldi presenti nella cassaforte di casa Rutland, fa da apripista alla rivelazione finale. L’intensità e il ritmo sincopato della musica esasperano, a questo punto, la condizione psicologica della donna, fino alla resa incondizionata. L’epilogo del film è la scena, terribile e dolorosa, che ricompone tutti i pezzi del puzzle. E che, proprio come in un puzzle, produce un incastro significativo di cromie e tracce sonore. Ricordi dal passato evocano suoni, voci, urla di una situazione regressa: il rosso del sangue arriva sullo schermo in sincronia perfetta con l’esplosione della traccia musicale dell’opera.
Considerato da Truffaut un film “malato”, Marnie resta un racconto per immagini complesso e inafferrabile, pregno di significato, ma trattenuto in un mistero che può essere solo intuito, o evocato dalle mille sfumature della musica, linguaggio “altro” in grado di parlare direttamente alle emozioni umane.