Possiamo davvero prendercela con Wes Anderson per essere, con ogni film, sempre più Wes Anderson? In un mondo dell’intrattenimento fin troppo affollato di prodotti da algoritmo e derivativi, qual è l’utilità del prendersela con un autore così sicuro del proprio stile e delle direzioni che vuole improntargli da essere diventato un genere a sé stante?
Quelle che potrebbero apparire come variazioni sul tema più o meno riuscite, esercizi barocchi di minuzia estetica ed eccessivo manierismo, al contrario, se si allontana lo sguardo dalla singola opera e si considera la totalità della produzione cinematografica di Anderson, appaiono inequivocabilmente come l’evoluzione di un regista che sa esattamente chi è e chi vuole diventare.
Anche ne La trama fenicia, le coordinate di partenza sono sempre le medesime: inquadrature statiche e panoramiche dalla pittorica simmetria, scenografie immacolate fin nei minimi dettagli (curate magistralmente da Adam Stockhausen, collaboratore di Anderson dal 2012), interpretazioni al tempo stesso asciutte ma non per questo prive di ironia.
Ed è proprio nella preservazione e nella rottura di questo preciso schema di regole autoimposte che il regista texano si muove più liberamente (addirittura osando con un angolo olandese!), attraverso la creazione di un universo tanto lineare nello svolgimento dei suoi avvenimenti, quanto ricco di particolari relativi agli spazi e ai personaggi.
In questa espionage black comedy, Benicio del Toro interpreta Zsa-Zsa Korda, un magnate industriale e trafficante di armi sopravvissuto al suo sesto attentato aereo. La consapevolezza di una sua possibile dipartita lo porta a ricongiungersi con la figlia Liesl (un’imperturbabile Mia Threapleton), una giovane suora, per portare a termine la sua ultima, intricata impresa commerciale.
Nonostante un’iniziale reticenza data dai suoi retti principi morali, la ragazza accetta di imbarcarsi con il padre in un tortuoso viaggio attraverso la Fenicia, incontrando un cast stellare di loschi sindacati, reali e rivoluzionari. Ad accompagnarli, Michael Cera veste i panni del giovane tutore di Korda, Bjorn, un biologo dal forte accento svedese, del quale l’attore riesce a catturare il potenziale umoristico e umano.
Che non sia il lavoro più memorabile di Anderson, quando Grand Budapest Hotel e I Tenenbaum esistono, è indubbio. Ciò che non può venire messo in discussione è invece la dedizione del regista nei confronti di una sempre nuova ricerca formale, al tempo stesso perfettamente in linea con la sua produzione passata.
È comprensibile che La trama fenicia possa non essere un film nel suo complesso universalmente apprezzato per una questione di gusto, ma è anche importante scindere le preferenze personali con le intenzioni autoriali; e, in fondo, anche non aspettarsi altro da un film di Wes Anderson di... un film di Wes Anderson.