Steven Soderbergh è un regista difficile da inquadrare. Qualsiasi tentativo di etichettare il suo lavoro per farlo aderire a categorie critiche ben delimitate, è infatti negli anni, felicemente fallito. Quasi programmaticamente Soderbergh sovverte ad ogni film, prospettive, approcci, pubblico di riferimento (ammesso che ne esista davvero uno), generi e stili, mescolando, ibridando, alternando produzioni di lusso e grandi attori di Hollywood a piccole produzioni indipendenti con attori poco conosciuti. Davanti al suo cinema, occorre perciò rimettere in discussione il proprio sguardo, accettando di farsi sorprendere, certi solo di trovarsi di fronte ad una visione di grande qualità e intelligenza.

I fratelli Jimmy e Clyde Logan si trovano in difficoltà finanziarie e decidono, con la complicità di un galeotto esperto di esplosivi ed un piccolo gruppetto di improvvisati rapinatori, di derubare la Coca Cola 600 una corsa automobilistica del circuito Nascar, seguita da una folla di appassionati. Dovranno riuscire ad eludere una fitta serie di controlli per realizzare il colpo, ma quando i guai sembrano alle loro spalle, una tenace detective potrebbe rovinare i loro piani.

Soderbergh aveva già praticato con i tre film della saga di Ocean’s, la struttura del film corale di rapina. Una coralità che ad ogni capitolo si arricchiva di nuovi personaggi e nel cast, di nuove star. La truffa dei Logan è a tutti gli effetti una sorta di quarto capitolo di quella saga (nel film i telegiornali li definiscono “Ocean's seven”), ma con un sostanziale ribaltamento di segno: al posto di tecnologia e lusso, qui troviamo espedienti curiosi al limite del verosimile e una grande povertà di mezzi, i due protagonisti, anziché essere due sex symbol, elegantissimi e in perfetta forma fisica, sono vestiti alla buona e hanno due vistosi e invalidanti difetti fisici, l’azione anziché svolgersi nella ricca Las Vegas, si sposta nel West Virginia e la colonna sonora invece che essere puntellata dal sofisticato swing jazz, è intrisa di musica Country.

Tuttavia, il ribaltamento di segno è l’ennesimo trucco per distrarre dalla sostanziale similarità della struttura, che infatti per come usa l’ironia, per come lascia sviluppare le vicende trasversali dei personaggi parallelamente allo svolgersi della rapina, per la gestione dei tempi narrativi, del ritmo e di quel raffinato meccanismo rivelatore che, attraverso una narrazione finale in flashback, svela i passaggi della rapina precedentemente nascosti, è sostanzialmente la stessa degli altri film. E’ un modo per Soderbergh di giocare col meccanismo ad incastro tipico dei film di rapina, di praticare una sorta di arte della variazione, di lavorare sullo stile, sulla superficie dell’immagine, sulla costruzione del meccanismo narrativo, sull’inganno, dentro e fuori dal film (il nome della sceneggiatrice del film è fasullo, Rebecca Blunt non esiste) e forse, più in profondità sulla facilità con cui ci fidiamo del visibile, su come il raggiro, mentre diverte per il suo funzionamento, ci svela qualcosa anche della fragilità del reale, della  sua vulnerabilità.

Colonna sonora come sempre curatissima, nella quale ad armonizzare i molti classici country presenti, con brani originali scritti ad hoc, è stato chiamato lo stesso David Holmes che aveva curato la sountrack anche dei tre Ocean's, ed esattamente come la musica di quei film serviva per caratterizzare l’ambiente e i personaggi, dandogli un’aurea sofisticata e glamour, qui il country disegna un ambiente polveroso, dominato da “white trash”, uomini che vivono di sotterfugi entrando e uscendo dal carcere, senza tuttavia mai perdere l’orgoglio della propria estrazione e del proprio territorio.

In questo senso possiamo quindi leggere quella commovente scena sul finale del film, in cui la figlia di Jimmy Logan, decisa a cantare Umbrella di Rihanna ad una competizione canora, si deciderà all’ultimo ad intonare a cappella, Take me home, Country Road di John Denver, il brano preferito dal padre, trascinando con se nel canto, a poco a poco, tutto il pubblico. Un divertissement ironico e stilisticamente molto ricercato, che dietro un'aura scanzonata e fracassona, nasconde in controluce importanti riflessioni sulla realtà americana e una idea di cinema sempre rigorosa e affilata.

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