“Ha quattro zampe, cammina in piedi, ha due teste, un cuore, un appartamento, le tasse da pagare e una vita breve…che cos’è dottore?”; “La coppia”, svela François Donge, protagonista di La verità su Bébé Donge, interpretato da un maturo Jean Gabin che con i personaggi di Simenon firmerà un sodalizio importante prestando il suo volto al Maigret dello scrittore. Il ricco industriale conciario, cinico e arrogante, pone questo indovinello al medico nel delirio della sua convalescenza in clinica, a seguito del ricovero per colpa di “un’ intossicazione”. In realtà non passerà molto tempo per avere svelata la verità: è stato infatti avvelenato dalla sua Elisabeth (detta Bébé), consorte da un decennio, personaggio che ascriverà Danielle Darrieux nell’olimpo del cinema negli anni a venire.
Il passato, la morte, il viaggio (“dieci anni” afferma il protagonista), l’espiazione, sembrano accomunare François Donge ad un altro personaggio della storia del cinema, Isak Borg, il professore de Il posto delle fragole. Entrambi, folgorati dalla Morte, affrontano un lungo viaggio a ritroso nel tempo per affrontare il proprio cinismo e la propria aridità relazionale, cercando di redimersi. Ad essere indagato in questa pellicola del ‘52 firmata da Henri Decoin, omaggio all’omonimo romanzo di Georges Simenon, è proprio il concetto di coppia. Una riflessione fatta con arguta psicologia, in pieno stile simenoniano, sul rapporto tra uomo e donna, su una relazione figlia dei suoi tempi, di una borghesia conformista e misogina.
Fulcro dell’intreccio è l’ossessionato tentativo di comprensione di un gesto estremo, che vede François cercare di rispondere a quella domanda che Simenon ha fatto propria e con la quale ha scardinato gli schemi di un tradizionale approccio al genere noir/poliziesco. Il “chi è stato?” non è più rilevante, il carnefice difatti viene palesato dall’inizio; la domanda portante diventa il “perché?”. Il luogo, o meglio il periodo, in cui cercare la risposta agognata sembra essere il passato, che nel film assume un peso differente rispetto al testo originale, grazie al lavoro sui flashback messo in campo da Decoin affiancato dallo sceneggiatore Maurice Aubergé.
La verità su Bébé Donge è una storia di opposti e del loro scontrarsi, della guerra tra i sessi verrebbe da dire. Il cinismo di François contro l’incanto di Bebè; il conformismo di lui contro l’idealismo di lei; le violenze psicologiche di un marito anaffettivo e traditore contro il soccombere di una moglie innamorata dell’amore e del suo uomo. E se nella storia si compie un ribaltamento di ruoli che potrebbe far sperare ad una riconciliazione - perché il carnefice diventando vittima comprende tutte le sue colpe - l’incontro non arriverà mai. Bébé diventando essa stessa cinica carnefice si affianca a François in quella morte che, seppur per lei spirituale, l’ha presa per mano da ben più tempo, senza che lui se ne accorgesse.
La traduzione italiana del titolo (La follia di Roberta Donge), che la Cineteca di Bologna propone in versione originale con il nuovo titolo di La verità su Bébé Donge, era poco appropriata ma piuttosto in linea con quel periodo raccontato e permette di soffermarsi sulla rilettura della storia in virtù di tempi più moderni. Se all’epoca - parliamo degli anni ’50 per il film - una storia del genere, come affermano Noël Burch e Geneviève Sellier nel loro La drôle de guerre des sexes du cinéma français, faceva sicuramente riflettere sull’evoluzione della figura femminile, rappresentata in maniera più realistica e in linea con i movimenti d’emancipazione del tempo, oggi riguardando il film emergono altre considerazioni.
Qual è la verità di Bébé Donge? La protagonista, pur emancipandosi e riappropriandosi addirittura del suo nome, sbarazzandosi di quel diminutivo innocente, non fa però sentire del tutto la sua voce. Quella a noi nota difatti è una verità letta attraverso l’analisi di coscienza fatta dal signor Donge. Sarebbe piuttosto attraente perciò l’idea di appropriarci della prospettiva di questo interessante personaggio. Un’opportunità colta in maniera originale da un collettivo di artisti romani, qualche anno fa, che ha ideato un concept-album fumetto ribaltando il punto di vista e proponendo la verità di Elisabeth Donge, il cui gesto, più che “folle”, sembra piuttosto razionale, conscio e consapevole delle conseguenze che porterà.