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Crisi identitaria di un borghese. “Sangue alla testa” di Gilles Grangier

Con Sangue alla testa Gilles Grangier torna a lavoro con Gabin, Audiard e Simenon (un anno dopo I giganti del 1955), in un insolito noir tratto dal romanzo dello scrittore belga. Nei dialoghi intelligenti scritti di Audiard si incontrano l’impertinenza parigina e la sagacia provinciale, mentre il contributo di Simenon, al di là della base narrativa, si ritrova anche nell’ambientazione: La Rochelle, cittadina prediletta dallo scrittore, è la lo scenario perfetto per una storia che parla di relazioni e reputazioni in provincia: ua cittadina portuale economicamente legata al mercato peschereccio, che Grangier si occupa di raccontare con esattezza documentaristica.

“La verità su Bébé Donge” e la guerra dei sessi

“Ha quattro zampe, cammina in piedi, ha due teste, un cuore, un appartamento, le tasse da pagare e una vita breve…che cos’è dottore?”; “La coppia”, svela François Donge, protagonista di La verità su Bébé Donge, interpretato da un maturo Jean Gabin che con i personaggi di Simenon firmerà un sodalizio importante prestando il suo volto al Maigret dello scrittore. Il ricco industriale conciario, cinico e arrogante, pone questo indovinello al medico nel delirio della sua convalescenza in clinica, a seguito del ricovero per colpa di “un’ intossicazione”. In realtà non passerà molto tempo per avere svelata la verità. 

Jean Gabin e Jules Maigret

Concludiamo i nostri approfondimenti su Simenon e il cinema con la distribuzione di Cinema Ritrovato al cinema del restaurato Maigret e il caso Saint-Fiacre ancora una volta con una galleria di illustri analisi critiche. Tocca a Jean Gabin, un Maigret volutamente senile e malinconico (sebbene severo, duro), essere al centro dell’interesse. Come ricorda Claudio G. Fava: “In tutta la sua carriera egli incarnò solo tre volte il personaggio inventato da Simenon: nel 1958 interpretando Maigret tend un piège (Il commissario Maigret) e Maigret et l’affaire Saint-Fiacre (Maigret e il caso Saint-Fiacre); e cinque anni dopo dando vita a Maigret volt rouge (Maigret e i gangster). Eppure, lo spettatore medio lo ricorda come un Maigret tipico, a dimostrazione del fascino straordinario che Gabin esercitava quando incarnava una figura accettata e sollecitata dal pubblico”.

La critica, Duvivier e Simenon

Non facile il rapporto tra la critica e Julien Duvivier, come dimostra l’antologia che dedichiamo a “Panique”, per il percorso su Simenon e il cinema proposto da Cinema Ritrovato al cinema. Ma secondo Chabrol: “Duvivier era diabolicamente abile. Aveva un ‘ottimo senso del ritmo, della colonna vertebrale’, del film che ‘sta in piedi’. Era molto bravo a descrivere con grande precisione e naturalezza gli ambienti. Su Duvivier si sono dette delle gran stupidaggini, del tipo: ‘non è un Autore’, ‘non ha un suo mondo’… Il suo ‘mondo’, la sua concezione della vita emergono chiaramente in film come Panique: la nostra è un’epoca di assassini, ecco la sua filosofia. E lui non faceva dell’ironia (come me), era davvero pessimista. Per me è un autore che non si è mai proclamato tale”.

 

“Panique” tra Georges Simenon e Julien Duvivier

Con la distribuzione di Panique di Duvivier cominciamo a riparlare di Simenon al cinema, un rapporto che si arricchisce di nuove interpretazioni e valutazioni ogni qual volta si torna a mostrare i molti film tratti dalla torrenziale bibliografia del maestro. In questo caso di affidiamo alle parole di James Quandt, di Criterion.  “Ispirato a un evento di cui era stato testimone l’autore belga, quando, giovane giornalista a Liegi, vide un gruppo di ubriachi rivoltarsi contro un uomo accusato di essere una spia tedesca e inseguire l’innocente su un tetto, chiedendo a gran voce “un’esecuzione sommaria”, il romanzo breve di Simenon e poco più di un canovaccio per Duvivier, e le molte libertà che il regista e il suo sceneggiatore, Charles Spaak, si prendono rispetto al libro ne trasformano il tono dal meramente pungente all’insistentemente acido”.