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Crisi identitaria di un borghese. “Sangue alla testa” di Gilles Grangier

Con Sangue alla testa Gilles Grangier torna a lavoro con Gabin, Audiard e Simenon (un anno dopo I giganti del 1955), in un insolito noir tratto dal romanzo dello scrittore belga. Nei dialoghi intelligenti scritti di Audiard si incontrano l’impertinenza parigina e la sagacia provinciale, mentre il contributo di Simenon, al di là della base narrativa, si ritrova anche nell’ambientazione: La Rochelle, cittadina prediletta dallo scrittore, è la lo scenario perfetto per una storia che parla di relazioni e reputazioni in provincia: ua cittadina portuale economicamente legata al mercato peschereccio, che Grangier si occupa di raccontare con esattezza documentaristica.

“La verità su Bébé Donge” e la guerra dei sessi

“Ha quattro zampe, cammina in piedi, ha due teste, un cuore, un appartamento, le tasse da pagare e una vita breve…che cos’è dottore?”; “La coppia”, svela François Donge, protagonista di La verità su Bébé Donge, interpretato da un maturo Jean Gabin che con i personaggi di Simenon firmerà un sodalizio importante prestando il suo volto al Maigret dello scrittore. Il ricco industriale conciario, cinico e arrogante, pone questo indovinello al medico nel delirio della sua convalescenza in clinica, a seguito del ricovero per colpa di “un’ intossicazione”. In realtà non passerà molto tempo per avere svelata la verità. 

“La traversata di Parigi” al Cinema Ritrovato 2020

Se – come ha sottolineato Nicolas Seydoux, presidente della Gaumont, durante la presentazione del film – la vera star del film è la Parigi sotto occupazione, bisogna però concedere che Gabin, Bourvil e Louis de Funès – nella esilarante parte di un nervoso ed esasperato droghiere – non brillano meno della stella principale. Su tutti svetta Jean Gabin, qui nel ruolo di un famoso e benestante pittore che decide, per capriccio o per noia, di scendere in strada. Forse per vedere da vicino cosa si nasconde dietro la facciata di quegli scorci parigini che lui stesso dipinge e vende a caro prezzo. Forse solo per osservare, con sguardo da divertito entomologo, le vite degli altri.

Gabin e Bardot, autenticità disarmanti

Jean Gabin ha incarnato una vastissima gamma di emozioni e sentimenti e Il commissario Maigret ne rappresenta la raggiunta e completa maturità artistica, per un verso. Nell’altro verso c’è un film, contemporaneo a Maigret, piuttosto sfortunato e caduto in disgrazia per un suo voler “osare”, potremmo dire, collocandosi al di là di certi parametri morali, di convenzioni e prassi da adottare nella rappresentazione di personaggi maschili e femminili, da cui lo stesso Gabin, ricordiamolo, fu scandalizzato.  La ragazza del peccato vuole continuare l’opera di denuncia ai valori borghesi iniziata negli anni ’40 e lo fa costellando alcune sequenze di allusioni, guardando alla sensualità dei dettagli e dei corpi. Ma è sulla fisionomia della Bardot che Lara costruisce la sua denuncia: a un certo punto solleva svelta la gonna e propone senza mezzi termini un contratto a Gabin, nel cui gesto, cinico, c’è una specie di candore disarmante. Fresca, sana, placidamente sensuale. Non getta sortilegi, anzi agisce, mettendo sotto scacco un uomo e poi tutta una cultura.

Jean Gabin, tra femmineo e realismo poetico

In effetti, nonostante La vergine scaltra, in cui sembra che i dialoghi rechino l’impronta del sodale di Carné, Jacques Prevert, all’epoca però convalescente, segni una svolta nella carriera stilistica di Carné, l’impressione che si ha guardandolo è che filmi i suoi attori lasciandoli andare, lasciando che la vita svolga il suo corso, dispiegandosi senza una fine definitiva. C’è del realismo in entrambi i film, o anche delle tracce di realismo poetico, se pensiamo al film di Clément, la cui storia è incentrata su un personaggio che rimanda all’idea di eroe tragico, il quale è continuamente destinato a essere sconfitto dal fato. In Le mura di Malapaga emerge inoltre volontà di portare sullo schermo la dura vita del proletariato, considerando il modo in cui viene rappresentata la quotidianità della cameriera Marta e di sua figlia.

“Faubourg Montmartre” al Cinema Ritrovato 2019

È una piccola, perfetta cartolina del cinema popolare francese del suo tempo, questo Faubourg Montmartre del 1931. Il sonoro era appena arrivato, ma le limitazioni tecniche nel filmare e i grattacapi che ciò stava causando a molti autori non sembravano impensierire troppo Raymond Bernard. Regista prolifico e disinvolto negli anni del muto, Bernard sembra sapere perfettamente cosa dare al pubblico: abbandona senza ripensamenti la grandiosità delle scene storiche che aveva mostrato di saper gestire così bene, e sceglie di adattare un romanzo di Henri Duvernois, sposando perfettamente un tema intrigante e sempiterno come la prostituzione con l’attualità della crisi economica che la Francia stava vivendo sull’onda del crollo di Wall Street del ’29.

“Dall’alto in basso” al Cinema Ritrovato 2019

Dall’alto in basso è una storia collettiva: vi incontriamo Pola, la vicina di Boulla che ne è innamorata, l’avvocato squattrinato\Michel Simon, la signora Binder, un mendicante timido, una cuoca generosa… Si tratta insomma di un film corale, in cui il regista tedesco sfiora stento la fisionomia dell’attore francese, soffermandosi piuttosto sulla figura femminile, Marie, interpretata da una semisconosciuta Jeanine Crispine. Sono l’uno il controcanto dell’altro, Boulla e Marie. Lui all’inizio spavaldamente sicuro di sé e della conquista imminente e lei, d’altra parte, ambiziosa e intransigente, non disposta, soprattutto, a scendere a compromessi di qualsiasi natura per conseguire i suoi obiettivi e desideri.

“Il bandito della Casbah” al Cinema Ritrovato 2019

È questo contrasto il tema cardine del film: la dicotomia tra volere e potere, tra libertà e prigionia, tra dentro e fuori, tra realtà e apparenza. A mano a mano che il film procede, diventa infatti sempre più chiaro come sia la stessa personalità di Pépé ad essere scissa in due. In un mondo dominato da personaggi ambigui (l’ispettore Slimane, l’informatore Régis), Pépé non può che incarnare il massimo dell’ambiguità: il merito per il raggiungimento di tale vertice, oltre alla sceneggiatura di Julien Duvivier, Jacques Constant e Henri Jeanson, va attribuito in egual misura al regista e all’interprete.

Jean Gabin e Jules Maigret

Concludiamo i nostri approfondimenti su Simenon e il cinema con la distribuzione di Cinema Ritrovato al cinema del restaurato Maigret e il caso Saint-Fiacre ancora una volta con una galleria di illustri analisi critiche. Tocca a Jean Gabin, un Maigret volutamente senile e malinconico (sebbene severo, duro), essere al centro dell’interesse. Come ricorda Claudio G. Fava: “In tutta la sua carriera egli incarnò solo tre volte il personaggio inventato da Simenon: nel 1958 interpretando Maigret tend un piège (Il commissario Maigret) e Maigret et l’affaire Saint-Fiacre (Maigret e il caso Saint-Fiacre); e cinque anni dopo dando vita a Maigret volt rouge (Maigret e i gangster). Eppure, lo spettatore medio lo ricorda come un Maigret tipico, a dimostrazione del fascino straordinario che Gabin esercitava quando incarnava una figura accettata e sollecitata dal pubblico”.