Lui e lei, lei o lui. Lui, Alexandre, è figlio dell'alta borghesia parigina, studia negli U.S.A. a Stanford, e ha una certa inclinazione al sesso rude e all'insistenza di fronte ai no delle sue partner; lei, Mila, ha qualche anno di meno, una certa timidezza e una madre ebrea osservante che le ha instillato qualche sentimento di disagio verso i rapporti fisici con l'altro sesso. Quando si trovano a uscire una sera senza in pratica conoscersi, perché la madre di lui fa ora coppia col padre di lei, qualcosa accade.

Per Mila è stupro, al quale ha dovuto sottomettersi sotto la pressione della coercizione di lui, per Alexandre si è trattato di un rapporto nel quale non ha potuto comprendere che lei non fosse consenziente, non avendo manifestato a parole alcun diniego. O forse lei si è solo voluta vendicare del subitaneo abbandono di lui per andare a mostrare agli amici le mutande di lei come trofeo.

Già dalla presentazione a Venezia 2021, ha causato molte polemiche il nuovo film di Yvan Attal, L'accusa, evidentemente ben conscio del ginepraio nel quale si stava andando a infilare eppure zelante nell'argomentare in lungo e in largo sulle famose “zone grigie” del consenso sessuale, cifra distintiva della Francia nel dibattito globale sul #MeToo. Attal parte dal romanzo Le cose umane di Karine Tuil ben attento a non privilegiare alcun punto di vista, interessato a portare in campo il più ampio spettro di opinioni possibile e a filmarle senza commenti o sottolineature d'enfasi – con tratti sorprendentemente simili al recente analogo processuale La ragazza con il braccialetto.

Vediamo così sfilare in tribunale la madre saggista femminista che ora invece sostiene il figlio (Charlotte Gainsbourg, compagna da sempre di Attal e madre di Ben Attal, qui nel ruolo proprio di Alexandre), il padre tradizionalista e misogino che chiede come si possa rovinare la vita del figlio “per 20 minuti” (riprendendo le parole del padre di Brock Turner, alla cui vicenda reale di cronaca Tuil si era ispirata), ma anche tutta una serie di comprimari che sembrano porre l'accento su degli scarti in continuità, fra le due polarità del consenso e dell'abuso: l'ex amante di lui per la quale il gioco dell'umiliazione fungeva da incipit erotizzante, la partner occasionale che si era prestata a pratiche sessuali con l'unica voglia di toglierselo di torno prima possibile, la giovane stagista del padre destinata a diventare l'ennesima storia di una notte o compagna di vita a insindacabile giudizio di lui.

L'accusa espone le prospettive di tutti, ma proprio nella sua illusione o pretesa di restare super partes ha già imboccato una via interpretativa, a due livelli: la lettura sociale suggerisce che la grammatica relazionale fra i due sessi è carente e dovrebbe fare passi avanti, soprattutto sul fronte maschile, la lettura giuridica però implica di fatto la non-sanzionabilità di comportamenti magari deprecabili ma non condannabili, se la percezione della realtà è soggettiva.

Per quanto le riflessioni sociali non siano prive di un certo interesse, l'idea di un relativismo del consenso, dello stupro come risultato di un fraintendimento fra due individui è in sé così problematica da necessitare di una forte argomentazione filmica: la camera di Attal si ferma invece fuori dalla porta di Mila e Alexandre. Ufficialmente per lasciare al tribunale (e alle sensibilità) la ricostruzione di quanto avvenuto ma, viene un po' il sospetto, per l'impossibilità di far passare l'indifferenza al consenso altrui come qualcosa di diverso dall'abuso.