Se gli anni Ottanta, segnati da produzioni massicce come Scarface e Gli intoccabili, annunciano nella filmografia di Brian De Palma il perfezionamento di uno stile virtuosistico ma nitido al servizio di storie gravide di paranoie postmoderne (Omicidio a luci rosse è già parecchio pynchoniano), gli anni Settanta rappresentano il decennio della sperimentazione più consapevole e imprevedibile per il cineasta di Newark.

Dopo aver lanciato De Niro con Ciao America! e Hi, Mom!, caustico dittico impregnato di controcultura sulle compulsioni croniche degli Stati Uniti di fine Sessanta, e prima di sbizzarrirsi con l’operismo camp-rock de Il fantasma del palcoscenico (il quale avrebbe poi ispirato i Daft Punk, quantomeno nel look), nel 1973 De Palma girò Le due sorelle, thriller al femminile e horror psicologico che anticipa molti elementi tematici e alcuni stilemi del suo cinema immediatamente successivo: le morbosità familiari di Complesso di colpa, la paura della sessualità femminile in Carrie, lo split screen inimitabile di Blow Out, lo sdoppiamento patologico in Dressed to Kill; e ancora il dichiarato voyeurismo della soggettiva, i colpi di scena suggeriti dai giochi d’ombre e le ossessioni private di tanti suoi personaggi a venire.

Le sorelle del titolo, interpretate da Margot Kidder (la Lois Lane della saga di Superman), sono Danielle e Dominique, gemelle siamesi originarie del Quèbec, trasferitesi a Staten Island dopo essere state separate chirurgicamente dal dottor Emil Breton (William Finley, tra lo slapstick e il Caligari), che ha sposato la prima e ne controlla oppressivamente la vita. Nel giorno del loro compleanno la giornalista d’inchiesta Grace Collier (Jennifer Salt) si convince di aver assistito dalla finestra del suo appartamento a un delitto compiuto da una delle due, e di fronte allo scetticismo della polizia comincia a indagare per conto proprio, facendosi coinvolgere in un dramma schizofrenico fin troppo pericoloso per chi, come lei, non riesce a smettere di guardare. Nei manifesti pubblicitari e negli annunci radiofonici diffusi all’uscita del film addirittura si informava il pubblico che al termine di ciascuna proiezione gli spettatori sarebbero stati sottoposti, in piedi, a una non meglio precisata terapia di recupero dallo shock provocato dalla pellicola.

Da subito colpisce e conquista la differenziazione dei caratteri, dato che ciascuno dei personaggi dimostra di avere a disposizione una lingua e una gestualità a sé per esprimere le proprie manie personali, persino quelli secondari, come l’intraprendente detective Larch, che nel finale beffardo ed enigmatico si ritroverà in Canada sulle tracce di un divano insanguinato, la madre perbenista e apprensiva di Grace o il disponibilissimo giornalista di Life che si è occupato del caso delle gemelle Blanchon.

Tutti, comunque, a cominciare da Grace ed Emile, sono ossessionati dal rapporto tra Danielle e Dominique, e tutti infatti le spiano, persino la prima vittima (non a caso coinvolta in una candid-camera intitolata Peeping Toms, come il film di Michael Powell sull’aspirante regista scopofilo). Questo clima morboso e confidenziale a un tempo è senz’altro debitore alla colonna sonora di Bernard Hermann, compositore di fiducia di Hitchcock che prima di morire collaborò nuovamente con De Palma per Complesso di colpa e scrisse le partiture per Baby Killer di Larry Cohen e Taxi Driver.

Se, al di là della musica, le numerose citazioni hitchcockiane (il coltello di Psycho, il binocolo de La finestra sul cortile, il nascondiglio del cadavere di Nodo alla gola, la mimica facciale di Marnie) sono tanto evidenti da far pensare che servano più che altro a distrarre l’attenzione del cinefilo medio, oggi si apprezzano piuttosto le consonanze visive ed atmosferiche tra la tensione placentare di Le due sorelle e le fobie dermiche di Repulsion e i traumi maternali di Rosemary’s Baby o l’inconscio uterino di Brood, considerato poi che Cronenberg avrebbe proposto in Inseparabili una personale versione “mutante” del film sulla reciproca dipendenza gemellare.

Però, oltre che come sconcertante esperimento con la psiche sororale e i suoi feticci corporei (esemplificati dalle due riprese ravvicinate della cicatrice di Danielle), il film di De Palma merita di essere ricordato anche per la sequenza in bianco e nero e formato oculare in cui Grace, sotto l’effetto di un’ipnosi che trapianta l’incubo nella memoria, si ritrova al posto di Dominique, attaccata al fianco di Danielle, mentre il marito-chirurgo che porta il cognome di André Breton si appresta a separarle con una mannaia, circondato da freaks travestiti da preti e da suore e immersi in una piscina che sa di liquido amniotico: praticamente una scena tagliata da L’age d’or (e forse da lì viene anche l’altrimenti inspiegabile mucca che compare nel finale), un omaggio inquietante e squisito al cinema di Buñuel e Germaine Dulac.

A cinquant’anni di distanza, Le due sorelle resta ancora una questione di cellule, certo, ma in quell’ora e mezza di delirio voyeuristico si scopre anche la via americana al surrealismo.