Un treno corre in mezzo alla neve, carico di passeggeri poveri, sporchi e affamati: non è un Intercity invernale ma l'infaticabile Snowpiercer, protagonista dell'omonimo film di Bong Joon-ho. Malgrado l'idiozia della premessa (l'umanità sfugge alle conseguenze di una glaciazione stipando i sopravvissuti su un super-treno),  il regista riesce ad utilizzare il linguaggio della fantascienza distopica per parlare allo spettatore del presente.                                                                                           

Il treno rappresenta, ovviamente, la società contemporanea. Intrappolati in una parodia ante litteram del pensiero accelerazionista, gli uomini si trovano a bordo di una macchina condannata alla corsa perpetua, la cui unica possibilità di sopravvivenza è rappresentata dal mantenimento della propria velocità di crociera. Fuori, ci viene detto, c'è solo freddo e morte. La vita a bordo dello Snowpiercer è organizzata secondo rigidi criteri post-fordisti: ad ogni carrozza corrisponde un diverso tipo di passeggero, e ad ogni passeggero un ruolo. Il vagone di coda, sudicio e sovraffollato, ospita i nullatenenti mentre, procedendo verso la prima classe, troviamo cuochi, maestri, assassini ed una piccola élite, persa tra agi e divertimenti. L'orizzontalità del convoglio schiaccia la verticalità della società piramidale in una serie di occupazioni parallele: tutti sono essenziali alla sopravvivenza della macchina e il lavoro necessario a garantirne il moto è uniformemente distribuito. I poveri producono manodopera infantile, i tecnici garantiscono l'alimentazione dei passeggeri e i più abbienti consumano il surplus di produzione.

Il modello di mobilità all'interno della gerarchia non è quindi quello della scalata (sociale) ma la marcia: per spostarsi dalla coda alla testa del treno è sufficiente, come ci insegna il protagonista Chris Hemsworth, camminare in linea retta, superare le porte e abbattere i nemici. La rivoluzione iniziata da quest'ultimo si sviluppa quindi su una dimensione rettilinea che la rende (come la maggior parte delle moderne proteste contro il potere costituito) essenzialmente ludica, sia dal punto di vista formale che concettuale. Dove le scelte di scrittura e regia riprendono la struttura a livelli del videogioco e il linguaggio visivo degli FPS, all'interno della narrazione la rivoluzione viene essenzialmente giocata entro i confini della governabilità del treno e le sue conseguenze sono già calcolate: il potere mitopoietico delle energie sovversive viene sfruttato per creare un oggetto storico (La Rivoluzione di Curtis) che permette di mantenere gli equilibri tra i passeggeri, facendo leva sulla paura. Ed Harris, sadico conducente, spera inoltre che la ribellione gli consegni un degno successore, a cui lasciare in custodia la locomotiva. Hemsworth, entrato nella sua cabina con una ventata di sudore e sangue rappreso, sembra l'uomo giusto, ma Harris compie un fatale errore di valutazione: davanti a lui non c'è una persona ragionevole come il sodale John Hurt, capace di capire il valore del compromesso, ma un idealista imbecille, cresciuto nella sporcizia mangiando scarafaggi.

Il lungo viaggio tra i convogli avrebbe dovuto insegnargli che tutti i passeggeri, oppressori ed oppressi,  sono solo schiavi della macchina, che la società riesce a sopravvivere unicamente come totalità collaborativa e ogni sacrificio è orientato, in ultima istanza, alla preservazione dell'Engine, il motore del treno. Purtroppo la testa di Hemsworth è troppo piccola per ospitare la complessità del mondo: la vista di un bambino sfruttato come manodopera vale più di ogni appello alla ragione. Il treno va distrutto e viene distrutto, causando una tragedia senza pari. Il convoglio va in pezzi, e i primi vagoni ad accartocciarsi sulla neve sono proprio quelli di coda, abitati dai poveri tanto cari al protagonista; quando il suono delle esplosioni si arresta rimangono integri solo i vagoni di testa, e le élite possono tirare un respiro di sollievo. La sequenza finale  chiude la narrazione con un sorriso sardonico: sì, fuori dal treno c'è ancora vita, ma la natura è matrigna e il meraviglioso orso polare che vediamo in lontananza, non a caso smagrito, festeggerà volentieri il ritorno dell'essere umano banchettando con i passeggeri sopravvissuti.                                                                                                          

Snowpiercer, similmente a Parasite, si propone di insegnare allo spettatore una verità semplice quanto ostica: impara il tuo posto e mantienilo. Rifiutalo, e tutto ciò che hai intorno andrà in pezzi.