Arvin è figlio di Willard che, proprio mentre Sandy e Carl si incontravano per la prima volta, si è innamorato di Charlotte invece che di Helen, la quale ha sposato Roy e dato vita a Lenora, cresciuta come sorella di Arvin a casa dei nonni di lui. E poi ancora e ancora, per vent'anni di vita nella non così placida provincia americana, dalla fine del secondo dopoguerra all'escalation della guerra in Vietnam, fra paesaggi mirabili, ubiquità nefasta degli insetti e violenza imperitura.
In un Southern Gothic allargato al Midwest, Le strade del male di Antonio Campos tratteggia con personaggi multipli e storyline interconnesse il ritratto di un periodo della storia americana passato all'immaginario collettivo come florido e speranzoso, ma qui visto come prologo alle tensioni emerse successivamente dalla metà degli anni Sessanta e, sotto la superficie, ben diverso dall'iconografia di Norman Rockwell.
Al solito stilizzato ma del tutto accessibile, Campos prosegue le sue riflessioni sulla devianza sociale e, dopo Afterschool, Simon Killer, Christine e la serie The Sinner (di cui ha curato in particolare la prima stagione), torna a occuparsi di caratteri che commettono atti violenti apparentemente per turbe psichiche personali, ma in realtà in forte interdipendenza dal contesto. Rispetto alle sue opere precedenti, in questa coralità d'insieme alcuni personaggi restano opachi e le loro azioni non sempre argomentate, ma al solito intrigante e disturbante è il suo convincimento dell'opportunità di uno sguardo amorale: inutile negare che l'aggressività generi aggressività, così come che a un attacco inaspettato si possa sfuggire forse solo possedendo un'arma carica.
In un mondo in cui padri traumatizzati insegnano ai figli che l'offesa si argina con l'offesa, meglio se pianificata a sorpresa, multipli atti di barbarie si susseguono senza sosta. L'affastellamento è così parossistico da aver fatto pensare a taluni che si esagerasse in inverosimiglianza della trama e crudezza, anche se poi, in realtà, sullo schermo si vede ben poco rispetto ad esempio a un The Killer Inside Me, dagli stessi temi e atmosfere. Poco sensato è leggere questa history of violence coi criteri del realismo, quando Le strade del male è più una novella collezione di parabole religiose o di episodi biblici, nella quale ogni atto umano nefando è contemplato e auspicabilmente sanzionato.
E proprio di credenze spirituali sono impregnate le volontà dei personaggi, i quali tutto vogliono fare nel nome di Dio, ma che nel suo nome finiscono per fare di tutto. The Devil All The Time, “il diavolo per tutto il tempo”, recita il titolo originale del film, così come il romanzo di Donald Ray Pollack da cui è tratto: c'è qualcosa di aberrante e insensato nella pervasività del sentimento religioso in chi non fa che perpetuare dolore e sopraffazione. Eppure ciò che Le strade del male suggerisce non è per forza l'assenza del divino, anzi la voce narrante del film sorprende per la sua conoscenza del presente e del futuro, onnisciente e inappellabile come una divinità, benigna o maligna che possa essere. Il fatto poi che a interpretarla sia, nell'originale, lo stesso Pollack aggiunge qualche brivido di (meta)riflessione sullo scrittore/regista come creatore di mondi arbitrari.