Primo film diretto unicamente da Paolo Taviani dopo la scomparsa del fratello Vittorio, Leonora addio è un intenso e complesso omaggio a Pirandello, che attraversa tutto il cinema dei Taviani dall’indimenticato Kaos (1984) al meno riuscito Tu ridi (1998), ma anche all’altro grande filone tematico che ha, da sempre, interessato i due registi: il cinema militante e la cultura antifascista e resistenziale italiana, da La notte di San Lorenzo (1982) fino a Una questione privata (2017). In ultima analisi, il film è una riflessione sentita e personale sulla memoria e sul ricordo, cinematografico e personale, artistico e biografico, storico e di celluloide.

Ancora più che in Kaos e in Tu ridi, Pirandello diventa centrale in tutta la prima parte di Leonora addio e viene lui stesso messo come personaggio, grazie anche alla voce di Roberto Herlitzka: il film si apre, infatti, con cinegiornali che annunciano la vittoria del Premio Nobel nel 1934, seguita, dopo solo due anni, dalla morte. Assistiamo, quindi, alle tre fasi dei funerali dello scrittore: la cremazione e la tumulazione nel cimitero del Verano nel 1936, la traslazione nella natia Agrigento undici anni dopo e la costruzione del monumento funerario scavato nella pietra agli inizi degli anni 60.

La solitudine stessa di cui parla Pirandello all’inizio del film, nel momento di massima gloria per l’attribuzione del Nobel, è certamente un sentimento condiviso dal regista che si appresta a girare il suo primo film da solo. L’inizio di Leonora addio è anche una sorta di continuazione ideale, e al tempo stesso, un rovesciamento dell’epilogo di Kaos che vedeva lo scrittore recarsi in Sicilia di persona per un dialogo immaginario con la madre morta.

Il carattere pirandelliano, tuttavia, non rimane solo limitato alla superficie narrativa, ma permea Leonora addio anche e soprattutto a livello di forma e stile. Lo stesso film è un gesto pirandelliano, una doppia narrazione inaspettata nella sua divisione in due parti. Il racconto dei tre funerali di Pirandello è infatti abbinato all’ adattamento della novella “Il chiodo” che l’autore scrisse poco prima di morire e che condivide con la prima parte la riflessione sulla morte e sulla memoria. Fin dal titolo, Leonora addio si nasconde, quindi, dietro una maschera: non è la novella che dà il titolo al film ad esserne il soggetto.

Inoltre, il film illustra efficacemente la poetica pirandelliana: la parte centrale della processione funebre per le strade di Agrigento, con l’espediente di mettere l’urna cineraria dentro una bara per ottenere la benedizione religiosa, è una riflessione sulla dicotomia comico-umoristico. La bara di una persona adulta, e, per di più, di un gigante della letteratura ridotta a quella di un nano dalla percezione dei bambini che assistono alla processione, ci porta a ridere in quanto situazione comica. Tuttavia, anche attraverso l’insistenza della macchina da presa sulle reazioni degli astanti, siamo invitati a rielaborare questo “avvertimento del contrario” in un “sentimento del contrario”: una compassione per la fragilità di chi non può, a causa di regole sociali e religiose, decidere nemmeno come avere il proprio funerale.

Un ulteriore livello della maschera pirandelliana è quello di far progredire la narrazione degli anni tra il 1936 e il 1947 con citazioni di altre opere filmiche, attraverso, non solo i cinegiornali, ma anche e soprattutto con estratti da film neo-realisti e sulla Resistenza come la scena conclusiva di Il sole sore ancora (1946) con Carlo Lizzani che recita un rito religioso (“Ora pro nobis”) in chiave di Resistenza. Questo stile di citazione che si confonde e si integra con il girato effettivo tocca il suo culmine nell’adattamento della novella “Il chiodo”, in cui un ragazzino italiano immigrato in America si macchia di un delitto: qui Paolo Taviani recupera la scena della partenza del gruppo di immigranti dal primo episodio di Kaos, “L’altro figlio”, e la inserisce, smontandola e rimondandola, come antefatto alla narrazione e come estremo e commovente omaggio al fratello Vittorio.