Visto che Il Cinema Ritrovato Kids ha reso omaggio alla lunga collaborazione, quasi quarantennale, tra Lele e Giugi, al secolo Emanuele Luzzati e Giulio Gianini, offrendo la possibilità a dei giovanissimi e fortunati spettatori di assistere a numerose proiezioni per poter scoprire il lavoro di questi due autori, vale la pena tornare a parlare di loro. 

L’amicizia tra Luzzati e Gianini trova la sua origine nella comune passione per il teatro dei burattini e dei pupi al quale guardano per il loro universo favolistico comico e poetico, caratterizzato dai personaggi e dalle scenografie bidimensionali di Luzzati.

Cavalieri, principesse, mori, saracini e pulcinella dalle fisionomie simili e facilmente identificabili, ritagli di carta che quasi si confondono amalgamandosi nella variopinta tavolozza di colori in attesa del soffio vitale di Gianini, fotogramma dopo fotogramma finché non si compie l’intera azione. Questi movimenti spontanei e calcolati in egual misura scandiscono i tempi nella cosiddetta Trilogia rossiniana, nel Flauto magico e nei titoli di testa sulle musiche di Carlo Rustichelli de L’armata Brancaleone e del seguito Brancaleone alle crociate. La collaborazione con Mario Monicelli accresce certamente la loro fama, ma l’aspetto più interessante è il continuo rimando che si crea tra l’animazione e la trama, la scenografia e la scelta dei costumi nel film, primo fra tutti il cavallo Aquilante il cui manto è stato tinto di giallo forse con gli stessi pastelli di Luzzati.

Una contaminazione involontaria o meditata che si fa forza della comune attenzione verso un medioevo rozzo e violento, satira di un tempo lontano già affrontata anni prima da Luzzati e Gianini ne I paladini di Francia ovvero il tradimento di Gano di Maganza, in cui è facile ritrovare nel problematico rapporto tra Rinaldo e Baiardo, Brancaleone e il suo destriero. E aggiungerei infine un ancora più evidente richiamo all’opera di Gianini e Luzzati nel finale di Brancaleone alle crociate in cui la strega Tiburzia assume le sembianze di una gazza, conclusione ideale di una fortunata cooperazione.

“La fantasia figurativa, l’estro umoristico, il senso della fiaba e le geniali soluzioni grafiche” sono i pregi esaltati da Federico Fellini nella Gazza ladra in una lettera inviata ai due amici, forse il lavoro in cui questo sodalizio vede la massima espressione, una sinfonia di immagini e musica che trova dei precedenti nei corti di Norman McLaren come Blinkity blank (1954) e Le Merle (1958), in cui si è intravisto un prototipo della gazza rossiniana.

In Blinkity blank, realizzato disegnando e graffiando la pellicola, Truffaut vede racchiusa “tutta la fantasia di Giraudoux, la maestria di Hitchcock e l’immaginazione di Cocteau” (Les films de ma vie, 1975), una definizione che, al di là della volontà di adattarla o meno al caso specifico, senza indugi può servire a restituire l’entusiasmo suscitato nella critica da un film d’animazione.

Nel caso di Luzzati e Gianini il favore del pubblico e degli addetti ai lavori culmina nelle nomination agli Oscar della Gazza ladra (1966) e di Pulcinella (1974), anche quest’ultimo amato da Fellini che ne sottolinea l’intensa resa dell’intrinseco “sentimento dell’umano, della sofferenza, del bisogno insopprimibile della giustizia” in una maschera della commedia dell’arte così ben rappresentata.