Ernst Lubitsch è uno di quegli autori per i quali, in qualsiasi film che vediamo, si può scovare un peculiare e irripetibile sguardo registico: un gusto estremamente raffinato, una marca estetica e narrativa assolutamente personale e trasversale alle numerose opere da lui dirette nella sua pur breve vita, tanto da meritare la proverbiale definizione di Lubitsch touch; cioè quel “Tocco di Lubitsch”, fatto di eleganza formale e rigore narrativo, che lo rende uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Berlinese trapiantato a Hollywood, giunse negli Stati Uniti nel 1923, dopo aver diretto già numerose opere in Europa, e Il ventaglio di Lady Windermere (1925) è uno dei suoi primi film hollywoodiani: un capolavoro insuperato del cinema muto che contiene già in nuce gli elementi più importanti non solo della sua forma artistica e narrativa, ma anche di quel genere squisitamente americano noto come sophisticated comedy. Un tipo di commedia che si affranca dai dettami della slapstick comedy che avevamo visto con Buster Keaton e Charlie Chaplin, per virare su un racconto sentimentale ed elegante, ricco di brio e di umorismo raffinato, e lontano dal lirismo commovente di film come Luci della città.
Se a un gigante come Lubitsch mettiamo tra le mani un’opera teatrale di uno dei massimi drammaturghi di sempre, Oscar Wilde, possiamo immaginare la grandezza incommensurabile di ciò che ne deriva, grazie anche al perfezionismo del regista in fase di sceneggiatura. La vicenda è ambientata nella nobiltà inglese di inizio Novecento, dove Lady Windermere (May McAvoy) inizia a sospettare che il marito, Lord Windermere (Bert Lytell), abbia come amante una fra le donne più discusse del bel mondo, Mrs. Erlynne (Irene Rich). E a fomentare i suoi sospetti c’è un altro gentiluomo, Lord Darlington (Ronald Colman), che ha interesse a suscitare la gelosia della donna poiché ne è innamorato, e vorrebbe che lasciasse il consorte per intrecciare una relazione con lui.
Ma le cose non sono come sembrano, e Mrs. Erlynne è in realtà la madre di Lady Windermere, che anni prima era fuggita con un amante, facendosi credere morta: la notizia creerebbe uno scandalo irreparabile, per cui Mrs. Erlynne, in cambio del suo silenzio, ricatta Lord Windermere per avere denaro e soprattutto per farsi accettare di nuovo nell’alta società. L’uomo acconsente, dando adito ai sospetti della moglie, in un turbine di equivoci che culmineranno in un ricevimento a cui tutti i personaggi partecipano, e dove saranno i buoni sentimenti a prevalere.
Il ventaglio di Lady Windermere va contestualizzato in un periodo, gli anni Venti, dove il cinema si era già fatto linguaggio in senso compiuto, e nello stesso tempo era in continua evoluzione. Ernst Lubitsch, che in Germania aveva fatto una lunga gavetta studiando nel teatro tedesco per poi approdare al cinema, si impone ben presto a Hollywood come regista di punta (prima nel muto, poi nel sonoro) e come maestro della sophisticated comedy: cioè il genere che andrà per la maggiore nella sua vasta filmografia, e della quale fu uno dei primi a dettare i canoni, insieme ad altri nomi illustri come Frank Capra, e prima ancora di Billy Wilder (che non a caso fu collaboratore di Lubitsch) e Howard Hawks.
Un tratto distintivo de Il ventaglio di Lady Windermere è innanzitutto il differente piano narrativo su cui il regista pone noi spettatori rispetto alla protagonista: attraverso le didascalie – semplici ma pregnanti – lo spettatore è messo al corrente di qualcosa che i personaggi non sanno, cioè che Mrs. Erlynne è la madre di Lady Windermere. Un dettaglio fondamentale che la ragazza non sa e non scoprirà mai, ma che è cruciale per lo snodo narrativo e per il divertissement offerto allo spettatore: e Lubitsch, narrando la storia in modo fluente come solo i maestri sanno fare e con una direzione maniacale degli attori, ci porta a spasso attraverso un’infinità di equivoci e personaggi che convogliano nel lungo finale dove il ventaglio del titolo avrà un ruolo di primo piano per ristabilire gli equilibri.
La vicenda è divertente e brillante, ma si ride a denti stretti, è una sophisticated comedy eppure anche un dramedy, come si usa dire oggi. Perché Lady Windereme’s Fan non è soltanto una commedia sentimentale, ma anche una critica tagliente alla società contemporanea dell’epoca (inglese e non solo), alle sue regole e convenzioni, alla dicotomia fra sentimenti ed etichette nobiliari: ed è incredibile come un film del 1925 possa essere così acuto e moderno, persino pre-femminista in un certo senso – e pensiamo anche a ciò che Lubitsch metterà in scena nel ménage à trois di Partita a quattro (1933).
Parlando di Luci della città, si diceva di come Charlie Chaplin riuscisse a comunicare le emozioni con la sola forza delle immagini. Ora, Lubitsch è innegabilmente lontano dallo stile di Chaplin, eppure si percepisce a pelle una simile concezione dell’immagine come potere espressivo, che si traduce nei primi piani sui personaggi e nei dettagli come le strette di mano, a cui il regista presta sempre un’attenzione certosina: l’uso delle didascalie è ridotto, e a parlare, come sua abitudine, sono innanzitutto le immagini. Il cinema di Lubitsch è marcatamente estetico, è una gioia per gli occhi, è una bellezza trascendente riconducibile a quello che certi filosofi chiamavano “il bello in sé”. Pensiamo agli sguardi delle due donne, la McAvoy e la Rich (fra le quali c’è anche una certa somiglianza, e non può essere un caso), o agli sguardi dei due rivali in amore – una mimica che trasuda di volta in volta amore, gelosia, amarezza – ma anche all’estrema raffinatezza dei costumi, delle scenografie e degli oggetti che riflettono il carattere dei personaggi (un altro marchio di fabbrica del regista berlinese, formatosi nel teatro).
Ne Il ventaglio di Lady Windermere c’è tutto l’universo visivo di Lubitsch: le scenografie ricostruite minuziosamente in studio (fra ampi saloni e sontuosi ricevimenti), l’uso limitato degli esterni, la perfezione geometrica delle immagini, l’eleganza impeccabile dei personaggi in abito da sera e in sintonia con le scenografie. Esemplare in tal senso è la celebre scena in cui Irene Rich entra nel salone accolta dai gentiluomini in frac, tutti con le scarpe che brillano: perché Lubitsch fotografa con un bianco e nero sobrio – che possiamo apprezzare nonostante l’usura del tempo – ma ricco di accorgimenti e preziosismi, come appunto il luccichio di scenari e oggetti. Per niente scontato è poi l’accompagnamento musicale, che non abbandona mai il film, con il pianoforte che modula l’andamento della storia fra il vivace e il malinconico, a ulteriore conferma di un senso estetico non comune.