Il discorso amoroso degli anni Novanta è dentro una manciata di film americani e lo potremmo riassumere parafrasando una frase de L’età dell’innocenza di Martin Scorsese: intravedere i lampi di vita vera per poi continuare a vivere una vita falsa. Dracula di Bram Stoker, I ponti di Madison County, Quel che resta del giorno, L’uomo che sussurrava ai cavalli, Titanic – ma anche il meno tragico Prima dell’alba e l’australiano Lezioni di piano si muovono nello stesso terreno – giungono tutti alla stessa conclusione: divorato da qualcos’altro (il dolore della non-corrispondenza, il sacrificio sentimentale in nome della responsabilità), l’amore dilania i cuori ed è già cosciente di essere amour fou.

Una delle anime più strazianti del cinema di Scorsese è proprio il dannato romanticismo che sorprende nella trappola dell’amore i protagonisti, talmente avvinti dai sentimenti da non accorgersi della propria incredibile ingenuità. A differenza, infatti, di New York New York o Toro scatenato, qui il love affair è raccontato con i codici di Quei bravi ragazzi: un approccio che sottolinea la tossicità di una società tribale, fiera della sua falsa verginità al punto di pretendere che Newland annulli le proprie passioni – o almeno le consumi al calore di un focolare privato – pur di garantire la sopravvivenza della casta di cui l’uomo è rampollo designato al futuro trono.

Un’agghiacciante scelta di non-vita, una rinuncia che permette a Scorsese di riallacciarsi formalmente ed intimamente al grande mélo della Golden Age, da L’ereditiera (da Washington Square di Edith Warton, stessa autrice dell’Età dell’innocenza) a Lettera di una sconosciuta. Tra William Wyler e Max Ophüls al lume de L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles (e sì, d’accordo, del Luchino Visconti ottocentesco), la regia volteggia dentro lo splendore malato del vuoto, infondendo nel perverso gioco al massacro della coppia incriminata – tutti sanno, nessuno parla – un pessimismo irrimediabile.

Scorsese crede così tanto all’amore tra Newland e la contessa Olenska da edificarla soprattutto sulle immagini vertiginose nelle quali s’irradia il senso stesso del cinema: la scommessa basata sulla barca che doppia il faro è uno sguardo epifanico con cui Newland configura in Olenska l’arte che verrà, e così il devastante finale in cui il raggio di sole si schianta sul vetro della casa di lei per riverberarsi nell’occhio di lui. Quando, sui titoli di testa di Elaine e Saul Bass, i fiori sbocciano sulle lettere vergate a mano, dissolvendosi mentre i colori mutano dal rosa al rosso passando per il bianco e il giallo, Scorsese non solo dimostra la sua adesione agli inclassificabili (“le cose hanno etichette; le persone, no”) ma, poiché conosce il sistema newyorkese immutabile nel tempo, sta già celebrando il funerale degli innamorati senza idillio: il matrimonio di Newland è un certificato di morte, il finale un disperato tentativo di uscire dagli inferi.