Abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di leggere, ognuno a modo loro, Birdman, in prima visione in questi giorni al cinema Lumière. Ci siamo presi un po’ di tempo, per allontanarci dalla contingenza della sua uscita e ora ci torniamo su, per ragionare insieme sul film di Alejandro González Iñárritu. Segue.
Alejandro González Iñárritu abbandona (come già era successo col precedente Biutiful) la struttura altmaniana che ha caratterizzato la “trilogia sulla morte” (Amores perros, 21 grammi e Babel) e opta per un inseguimento continuo dei protagonisti all’interno di uno spazio ristretto e condiviso. Questa volta essi conoscono i volti delle persone sulle quali le loro azioni avranno un effetto. È anche questo un film corale ma è assente l’inconsapevolezza di far parte di un enorme incrocio di vite che permeava le prime pellicole. Eppure l’amore per Robert Altman c’è ancora. L’adattamento di Carver, la satira su Hollywood, l’uso del piano sequenza, tutti elementi che passano in rassegna alcuni tra i suoi titoli più importanti (Nashville, I protagonisti, America Oggi, Radio America). Iñárritu sfodera tutto ciò che ha imparato dal suo maestro e dimostra di essere stato attento in classe perché Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza) è, a dispetto del titolo, un vortice travolgente di virtuosismi dettati da un’esperienza colta e intelligente.
È un gioco di specchi. Dare a Michael Keaton il ruolo dell’ex divo ricordato da tutti per aver indossato un tempo i panni di un famoso supereroe (Birdman) significa fargli recitare una caricatura di se stesso (era il Batman di Tim Burton, ricordate?). Far fare a Edward Norton l’attore ingestibile vuol dire chiedergli tanta autoironia in quanto è effettivamente famoso per creare problemi sui set e litigare con chiunque. Per non parlare poi dei numerosi collegamenti alle filmografie degli interpreti scelti. Tra i più evidenti ricordiamo Norton che si mette in guardia e fa a cazzotti (Fight club) e Naomi Watts coinvolta in un bacio saffico (Mulholland Drive). Seguendo a ruota Facciamola finita di Goldberg e Rogen, Iñárritu riempie quindi Birdman di meccanismi metacinematografici. Ma se l’intrattenimento sfocia nella commedia, il terreno sul quale esso si muove è segnato dal dramma. In più momenti è Il cigno nero di Aronofsky a tornare alla mente con quella macchina da presa appiccicata al volto di un protagonista tormentato dalla voce del suo alter ego.
Nonostante ciò Iñárritu crea un cinema estremamente dinamico. Pare abbia visto Gravity del suo amico Cuarón, si sia gasato a mille e abbia gridato: “Anch’io!!”. E così crea un’unica, enorme catena di piani sequenza dei quali come un prestigiatore ne nasconde i raccordi di montaggio. È tutto lì, davanti ai nostri occhi ma non possiamo fare a meno di restare abbacinati e domandarci: ma dov’è il trucco? Mentre col suo ritmo frenetico Birdman irride il cinema supereroistico e al tempo stesso flirta con esso, lo imita, non presenta una foga dissimile da quella dei film Marvel. Si può dire che segua le stesse regole narrative che portano alla nascita del supereroe. Non a caso infatti nella manciata di secondi in cui improvvisamente diventa esattamente ciò che Hollywood vorrebbe, tale scena non stona con il resto.
Sia chiaro, qua e là c’è qualche infantilismo (il comportamento del critico teatrale di Lindsay Duncan) e a lungo andare può risultare fastidiosa la continua benevolenza riservata al protagonista e al suo sguardo da vecchio che non capisce “questi giovinastri coi loro dannati social network”. Ma forse è anche per queste imperfezioni che Birdman è così affascinante. Volendo può essere detestabile, se non addirittura sbagliato. Ma non sono ammesse mezze misure. O lo si ama o lo si odia. Come il suo finale. Quel finale così assurdo e incoerente che rischia di rovinare tutto. Lì dovete credere a ciò che scegliereste di vedere se foste al posto della protagonista dell’ultima inquadratura. È una sfida. Se non ci credete passerete il tempo a dire: “Ma non ha senso, ma è stupido, ma perché?”. Se invece ci credete, con Birdman spiccherete il volo. A voi la scelta.
(Brando Sorbini)
Spesso alcuni attori restano intrappolati per tutta la vita nel proprio ruolo. Questo accade anche a Riggan Thompson, il protagonista di Birdman. La parte del supereroe nel blockbuster di successo, chiamato appunto Birdman, gli è rimasta incollata, tanto che per la gente non ha più un nome ma è solo “il protagonista di….”., L’identificazione con il personaggio dell’eroe mascherato, dalle sembianze di uccello, diventa ancora più forte in un gioco surreale: ora Birdman è sulle spalle di Thompson, ora lo sprona con voce cavernosa, ora lo fa agire con poteri paranormali.
In questo lavoro Iñàrritu racconta il mondo del cinema in un teatro di Broadway, il centro dell’élite intellettuale statunitense. Il regista gioca con personaggi stereotipati: l’attore egocentrico, l’assistente appena uscita dalla riabilitazione, il nervoso produttore, la protagonista femminile amante del regista, i critici interessati solo agli scandali. Su questo set si svolge la vicenda di Thompson che, nel suo tentativo di riscatto, decide di adattare, dirigere e interpretare Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, di Raymond Carver, uno degli autori del minimalismo americano. Un disperato tentativo di realizzare un’opera teatrale di successo, ambiziosa e intellettuale, su cui Thompson sta puntando tutto il suo riscatto, i suoi soldi e l’eredità della figlia. L’esito della prova è nelle mani di una persona, Tabitha Dickinson, la più importante critica teatrale di New York. In questo personaggio Iñàrritu rappresenta tutta la forza della critica, capace di determinare successi e fallimenti. Ma ne fa anche un personaggio ottuso, incapace di allontanarsi da quella che è considerata “la cultura”, legata a schemi e canoni classici, per cui è impossibile che un personaggio di Hollywood possa cimentarsi nell’arte del teatro, perché in fondo Thompson non è un attore, ma una celebrità.
Iñàrritu questa volta sceglie un modo diverso per raccontare i suoi protagonisti e in un teatro di posa di New York torna a narrare le ossessioni delle persone, in una commedia nera dai tratti alleniani e dalle battute pungenti. Una satira sul mondo dello spettacolo che assume un’incisività maggiore grazie a i riferimenti metacinematografici presenti in essa. Frequenti, infatti, sono le allusioni stilistiche, come la decisione di realizzare il film con pochi piani-sequenza montati tra loro in modo da ottenere la continuità temporale per tutta l’opera, tecnica non più nuova che guarda al ben noto esempio di Hitchcock. La scelta degli attori che hanno già vestito i panni dei supereroi (primo tra tutti Michael Keaton, il Batman di Tim Burton) riporta il film al discorso cinematografico. Anche le star del cinema diventano bersaglio del regista, che non risparmia la battuta su Meg Ryan o George Clooney. In questo modo Iñàrritu potenzia la sua ironia e il suo sguardo dissacrante sul mondo dello spettacolo, con un occhio critico verso tutti i personaggi rappresentati. Birdman è una satira su Hollywood e sull’ambizione di un uomo che nella fama trova la sua realizzazione, ma che non sarà realmente apprezzato se non riuscirà a far valere anche le proprie virtù.
(Chiara Maraji Biasi)
“A thing is a thing not what is said of that thing” si legge nel foglietto che fa da didascalia alla faccia di un attore riflessa nello specchio del suo camerino. Questa è una delle prime scene con cui Alejandro Gonzáles Iñárritu dà inizio al suo ultimo film Birdman o (l’imprevedibile virtù dell’ignoranza), il cui protagonista è Riggan Thompson (Michael Keaton), un attore sul viale del tramonto che si trova a fare i conti con la popolarità ormai sbiadita della sua interpretazione cinematografica di un pennuto supereroe. Dopo aver rifiutato di girare la quarta serie della fortunata saga, Riggan si ritrova con un matrimonio fallito alle spalle, pochi soldi, una figlia fresca di rehab e un ingombrante super io piumato e mascherato da uccello che tuona consigli non richiesti. L’attore vuole però darsi un’ultima possibilità, vuol dar prova del suo talento, passando dal cinema al teatro di Brodaway in un adattamento di Di cosa parliamo quando parliamo d’amore di Raymond Carver, da lui diretto, sceneggiato e interpretato. Sul palco insieme a lui salgono la giovane amante Laura (Andrea Riseborough), l’insicura collega Lesley (Naomi Watts) e il talentuoso ma imprevedibile Mike Shinner (Edward Norton), mentre la figlia Sam (Emma Stone) gli fa da assistente personale. Dopo i precedenti film drammatici (Amores perros, 21 grammi, Babel e Biutiful) Iñárritu vira genere e, con molti omaggi al cinema di Altman e alle battute di Allen, con Birdman mette insieme una commedia ambiziosa ma riuscita, forte di un registro brillante, cinico e surreale e di tre attori che gareggiano fra loro per bravura (Keaton, Norton, Watts). Il film sbarca così agli Oscar 2015 con 9 nomination e molte probabilità di portarsi a casa più di una statuetta. Intanto un obiettivo raggiunto è quello di riuscire a toccare temi vischiosi senza però rimanerne imprigionato: la vanità e la fragilità umana, il bisogno di essere amati e riconosciuti, la cultura alta e quella bassa, l’esercizio di critica e giudizio (e pregiudizio), l’essere e l’apparire nell’epoca dei social media. Iñárritu riesce a volare leggero su questi temi pesanti e a farci ridere grazie ad un’ottima sceneggiatura che ha ritmo e battute fulminanti, ad una regia adrenalinica che condensa il racconto in un (quasi) unico piano sequenza, ad una colonna sonora scandita da una martellante batteria jazz (che a volte cede il passo a inattesi intermezzi classici) e grazie ad altissime prove d’attore sulle quali spicca quella potente e delicata di Michael Keaton. Rughe profonde, leggero sovrappeso e improbabili parrucchini (piaghe su cui Iñárritu indugia ossessivo) e una vicenda artistica così vicina a quella di Riggan (anche Keaton ha raggiunto la celebrità interpretando il supereroe Batman) regalano al personaggio grande intensità e all’attore estrema consapevolezza.
Attraverso l’espediente del teatro nel teatro e una buona dose di ironia, Iñárritu riesce ad accarezzare il mondo dello spettacolo e di Hollywood con la carta vetrata, ma non solo. Alternando palcoscenico e camerini, analizza vita pubblica e privata degli attori, ma ci fa riflettere anche su noi spettatori e ci mette allo specchio interrogandoci sulle nostre maschere pirandelliane. Ecco, dei tre finali (quello sul palco, quello nella vita reale e quello surreale) l’ultimo mi è parso un poetico e sorridente invito a liberarsi dalle maschere in cerca di libertà.
(Lorenza Govoni)
Riggan Thompson (Michael Keaton) è un attore di Hollywood, divenuto popolare per aver rivestito i panni del super eroe Birdman. Ritiratosi dal ruolo che l’ha reso celebre, Riggan è deciso a dimostrare al suo pubblico, che, oltre a essere uno dei tanti “prodotti ben riusciti” dell’industria cinematografica Hollywoodiana, egli può anche essere un attore con la “A maiuscola”, capace di provare e trasmettere “emozioni umane infinitamente complesse”. La sua occasione di riscatto è la messa in scena dell’adattamento teatrale del testo di Raymond Carver Di cosa parliamo quando parliamo d’amore in cui Riggan è sia attore che regista. Accompagnato sulla scena da un cast piuttosto eterogeneo, i personaggi sono tutti accomunati dalla necessità di utilizzare la pièce come luogo di affermazione di se e del proprio essere artisti. Ad esempio Mike Shiner (Edward Norton), che, solo in teatro, riesce a scendere dal grande palcoscenico della vita reale, per entrare senza più maschere dentro se stesso. Mike può riconoscersi solo nell’identificazione totale con il suo personaggio: l’arte recitativa è ciò intorno a cui si costituisce il suo essere. Altre figure sono Griffin Murray (Amy Ryan) finalmente approdata a Broadway vede realizzarsi il suo sogno ma la personalità prorompente di Mike la mette più volte a disagio sulla scena e infine Laura (Andrea Riseborough) attrice di teatro con cui Riggan intrattiene una relazione destinata a finire. Nel film compaiono anche Emma Stone nei panni di Sam, trasandata e a tratti grottesca figlia di Riggan: giovane ribelle ed ex-tossica decisa a far pesare al padre l’assenza di quest’ultimo nella sua vita. Naomi Watts interpreta l’ex moglie di Riggan , mentre Zack Galifianakis si aggiudica il ruolo di agente e amico del protagonista, interpretando una parte “seria”, molto diversa da quelle in cui si è abituati a vederlo.
Alejandro González Iñárritu ci conduce lungo la storia attraverso piani sequenza che, alternati a soggettive e audaci movimenti di camera, disvelano, attraverso una serie di incontri-scontri, le dinamiche tra i personaggi negli stretti corridoi del backstage. Questi artistici virtuosismi si inseriscono nella pellicola con grande naturalezza, quasi come se la cinepresa fosse una presenza spettrale che segue, lascia e riprende i personaggi. Poche le scene in esterna, la maggior parte del film è girata all’interno del teatro: o sul palco o dietro le quinte. I piani temporali della storia si intersecano con i piani sequenza della regia creando salti cronologici ben collaudati sui quali si sviluppa la vicenda. La stessa tecnica è usata per mescolare la realtà del film con l’immaginazione di Riggan il quale porta avanti per l’intero film un dialogo serrato con Birdman, personaggio dal quale non riesce a liberarsi e che diventa il suo alter ego.
Birdman è un film denso di significati, tramite il quale il regista esprime le sue riflessioni sulla società contemporanea. Una sottile ironia permea le battute dei personaggi, specialmente quelle di Mike che diviene il fautore di una tagliente critica contro il mondo di Hollywood e contro i blockbuster. In particolare egli si scaglia contro il business dei supereroi, che si rivela essere troppo spesso finalizzato alla produzione di “articoli” di massa ideati solo per stratosferici introiti. É interessante notare che Iñárritu affidi al personaggio di Edward Norton le battute più scomode contro la “comic-production” hollywoodiana in quanto nel 2008 l’attore ha ricoperto il ruolo del gigante verde della Marvel e è ancor più eclatante scoprire che il suo interlocutore non è altri che quel Michael Keaton che divenne celebre grazie a Batman. Entrambi gli interpreti non esitano a mostrare la loro bravura attoriale in particolar modo Keaton la cui performance gli è valsa, a giusta ragione, la candidatura agli Oscar come miglior attore protagonista.
Il regista si scaglia inoltre contro a quella che possiamo definire la società 2.0, costituita da chi, troppo intento ad osservare il mondo attraverso uno schermo, non riesce più a vivere esperienze autentiche. Vediamo come di conseguenza finisce per diventare importante non l’opera teatrale in sé, non l’esperienza della rappresentazione dal vivo -e quindi non l’arte- ma ciò che può accadere intorno all’opera come per esempio i “gossip”, che, rimbalzando per il web attraverso twitter e video su Youtube diventando fenomeni virali. Ecco dunque che il nichilismo delle menti sopite sugli schermi prende il sopravvento e va a decretare quale prodotto può avere successo o meno, poco importa che sia arte, l’importante è che venda.
(Valentina Ceccarani)
Riggan Thompson (Michael Keaton) è un attore mediocre, diventato famoso per aver interpretato il supereroe Birdman, un gigante uccello nero. Per scrollarsi definitivamente di dosso la fama di attoruncolo da Blockbuster, decide di mettere in scena uno spettacolo teatrale a Broadway, partendo dal testo di racconti di Raymond Carver Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Al suo fianco un’attrice che sognava Brodway (Naomi Watts), un attore talentuoso e irascibile (Edward Norton), la figlia Sam (Emma Stone), l’assistente Jake e l’amante Laura.
Ma chi è realmente Riggan Thompson? E cosa sta cercando di fare? Il nostro protagonista rincorre la fama ma odia twitter e i social network, insegue l’amore ma ha una serie di matrimoni falliti alle spalle e non riesce neanche a comunicare con sua figlia. Irritabile, indeciso, alla costante ricerca di un’approvazione da quel mondo che lo considera un fanfarone, è perseguitato dalla voce del supereroe che lo ha reso famoso, che affiora in tutto il film ricordandogli sarcasticamente cosa non è riuscito a fare. Prima di vedere le luci notturne di Broadway e i suoi grattacieli, per quaranta minuti di film inseguiamo letteralmente gli spostamenti nevrotici di Riggan nei retroscena del teatro dove andrà in scena il suo spettacolo: camerini, lunghi corridoi, discussioni, prove, imprevisti e crisi nervose.
Birdman (o l’inaspettata virtù dell’ignoranza) è girato in un piano sequenza che sembra lunghissimo, merito della maestria nel maneggiare la steadycam del direttore della fotografia Emmanuel “Chivo” Lubezki (già visto in azione in Gravity e The Tree of Life): il montaggio è pressoché invisibile e la camera corre e vortica attorno ai suoi attori, in campi stretti che si soffermano sui volti, a restituirci rughe, espressioni, rabbia e paure. Il ritmo, componente fondamentale del film, scandisce scene e movimenti, complice una colonna sonora di tamburi che ben rispecchia le turbe di Thomson. Alejandro González Iñárritu osa e costruisce un’opera-esperimento differente dai suoi lavori precedenti: Birdman è un film che gioca con il cinema stesso, lo schiaffeggia, lo prende in giro e gli tende la mano. Un film che esplora le possibilità che la settima arte ha ancora da offrire, e in cui si fanno costanti riferimenti ad essa: non a caso, Riggan Thompson è interpretato da Michael Keaton, attore che ha realmente impersonato il supereroe Batman per arrivare al successo.
“Perché non mi amate come vorrei, per quello che sono?” recita Riggan in una scena della pièce a cui sta dedicando anima e corpo. E’ questo, in fondo, quello che Thompson sembra cercare: niente più che un po’ d’amore. Chiede amore agli altri per quello che fa, riconoscimento alla temibile critica del New York Times che decreterà la vita o la morte del suo spettacolo, amore per il suo impegno tenace nel provare ad essere qualcun’ altro, un attore migliore. Un film fluido e poco classificabile perché, anche se regala qualche momento di indubbio divertimento, non è certo una commedia. Birdman è audace e rocambolesco, mette in campo ottimi attori e un altrettanto ottima regia per raccontarci le gesta e i fallimenti di un uomo vulnerabile, alla costante ricerca di un’identità che lo definisca agli occhi degli altri.
Mosso dal desiderio di essere “un qualcuno”, non importa bene come o perché, Riggan Thompson vuole esserci, in questo mondo in cui un giorni siamo alle stelle e quello dopo ritorniamo alla polvere.
(Caterina Sokota)