Filone ormai floridissimo, quello del documentario sulle personalità del cinema italiano si distingue ora per i toni agiografici dovuti al coinvolgimento di parenti e amici ora per l’intento didattico che dimostra chi ragiona nella prospettiva di un ricordo più strutturato e durevole nel tempo. Life as a B-movie è dedicato a Piero Vivarelli, figura che ha attraversato tutto lo spettacolo, lavorato letteralmente con chiunque e tuttavia oggi relegata un po’ all’oblio. Non è solo l’intenzione di rievocarne vita e opere a rendere il doc di Fabrizio Laurenti e Niccolò Vivarelli (nipote di Piero) un film degno di massima attenzione. È proprio lo spirito incandescente che lo anima, del tutto in linea con quello di un avventuriero libertino e scatenato quale fu Vivarelli, a suo modo davvero geniale pur con le sue radicate conflittualità, a permettere il felice esito di questa operazione critica e culturale.

Attraverso un montaggio di sequenze cinematografiche e interviste a parenti, amici, collaboratori, amanti, studiosi (gustose, tra le altre, le testimonianze di Umberto Lenzi, Franco Rossetti e Pupi Avati), si dipana il racconto di un uomo che qualcuno, con tutto l’affetto possibile, ha definito “più culo che anima”. Come Cuba, il paese della rivoluzione che l’ha accolto come un mito, unico italiano iscritto al Partito comunista – nonché, ci teneva a sottolinearlo, membro dei paracadutisti – nonostante la militanza giovanile nella X Mas. Elemento, questo, di indiscutibile interesse, magari non troppo sviluppato ma che si collega al grande film sui repubblichini presentato a Venezia Classici, Tiro al piccione di Giuliano Montaldo. Tuttavia, oltre alla secca rievocazione dell’affiliazione, è nella reticenza, risolta da una battuta contro il principe nero Valerio Borghese, che si esprime il profilo di Vivarelli. Edonista e castrista, vitalista e contraddittorio, salottiero e fuggitivo, romantico e traditore, borghese e ribelle.

Uno che ha inventato Il tuo bacio è come un rock sul set di Urlatori alla sbarra dove assisteva Lucio Fulci, scritto 24.000 baci per chiudere un film per poi mandarla a Sanremo perché troppo bella da sprecare sui titoli di coda, ideato un proto-videoclip minimalista per Il cielo in una stanza, unito Rita Pavone e Totò e i Rokes in Rita la figlia americana. E costruito una storia per Django a partire da una clamorosa epifania di Sergio Corbucci, stupito Le Figaro con le intuizioni di Mister X (X come Decima…), ribaltato il genere esotico-erotico in funzione anticolonialista da Il dio serpente a Il Decamerone nero. E, su un piano parallelo che s’intreccia con il lavoro, una vita trascorsa saltando da un letto all’altro, amico divertente da prendere senza la pretesa di cambiarlo, “padre non tradizionale” di due figli, uno morto per droga e un altro che a 27 anni ha scoperto l’identità della sua vera madre.

Come dice Gabriele Salvatores, amico del compianto Alessandro Vivarelli, la vita è un b-movie, non un film d’autore. Eppure Vivarelli ci ha provato a fare della sua vita un’opera (d’arte) d’autore: Nella misura in cui è la sua lucida autobiografia per immagini, il suo film meno commerciale e in cui si mette a nudo, confessando che, insomma, l’unico modo per volergli bene è non farlo annoiare.