L'incredibile storia dell'Isola delle Rose (disponibile su piattaforma Netflix) è piuttosto divertente, perché negarlo. Sydney Sibilia, come già dimostrato in Smetto quando voglio e relativi sequel, possiede un'abilità innegabile nel mettere assieme combriccole di tipi da commedia in grado di coinvolgere amabilmente lo spettatore, fra sufficiente particolarismo dei singoli e adeguata chimica di gruppo. Qui si affida in primis a Elio Germano e Matilda De Angelis per raccontare con piglio global una storia molto local, quella dell'ingegnere bolognese Giorgio Rosa che nel 1967 aprì al pubblico una piattaforma di 400 metri quadri subito al di fuori delle acque territoriali italiane, al largo di Rimini; con supremo spirito anarchico, l'anno successivo decise poi di dichiararla uno stato indipendente, portando il caso sia davanti all'ONU che al Consiglio d'Europa, prima che il governo italiano decidesse di occuparla militarmente, nel timore si creasse un pericoloso precedente legislativo.

Rosa, classe 1925, e dunque 43enne all'epoca dei fatti, nonché ex militante della Repubblica di Salò, diventa, nella visione di Sibilia e della co-sceneggiatrice Francesca Manieri, un ritratto di Doc di Ritorno al futuro da giovane, un adorabile e geniale inventore fuori dal mondo: innamorato da sempre di Gabriella, la invita a fare un poetico giro di notte per il centro di Bologna sulla stravagantissima auto che si è costruito da solo, salvo poi farli arrestare entrambi dalla Polizia dopo una discussione sulla mancanza di qualsivoglia patente di guida, libretto di circolazione, financo targa del veicolo.

Ma se efficace è la caratterizzazione dei personaggi, inclusi gli amici mano a mano radunati da Giorgio per abitare stabilmente l'isola, poco a fuoco restano la suggestione di epicità e l'ideale utopistico che il film pur vorrebbe far trasparire dai toni, dallo sguardo suggestivo di Germano, e dalla scena finale – un falso storico peraltro, che in sé poco importerebbe. Al netto dei curiosi che si recano all'isola ogni giorno in barca, desiderosi di stare fuori dal mondo per qualche ora (ma senza alcuno spirito di trasgressione, pare), le motivazioni dei protagonisti rimangono generiche e opache. Ci si fa rientrare un po' di tutto: l'idiosincrasia personale alle regole, il momento storico, il “tutto per una ragazza” alla The Social Network. Di fatto, quando Gabriella contesta a Giorgio che alla fin fine la sua creazione sia solo una discoteca (a proposito: “discoteca” nel 1968?), lui non può far altro che guardarla con sublime tristezza e non proferire parola.

Con L'incredibile storia dell'Isola delle Rose Groenlandia, realtà produttiva fondata dallo stesso Sibilia e da Matteo Rovere, orientata al marketing internazionale e alla collaborazione con colossi come Netflix e Sky, ribadisce il proprio marchio di fabbrica in merito alla commedia: un prodotto di qualità, con un appeal emotivo su un pubblico vasto, che rifugga sia la matrice televisiva, sia una grana più sottile ma comunque legata alle idiosincrasie nazional(popolar)i. In questo caso punta su una generica apologia della libertà personale, in linea col nostro spirito del tempo ma ben attenta a non addentrarsi in alcun reale discorso politico, e una sempreverde presa in giro del potere costituito, col Presidente Leone di Luca Zingaretti che si muove e parla come Montalbano nei siparietti in ufficio (anche se l'attore saprebbe fare anche altro) e un antieroe, il ministro Restivo, col quale Fabrizio Bentivoglio prosegue la sua divertita carrellata sulle tragedie di politici ridicoli dopo Loro di Sorrentino.