Lola, la rivista cinematografica online curata da Adrian Martin e Girish Shambu, presenta tra gli articoli  del  suo terzo numero, appena uscito,  una essenziale quanto lucida disamina di Giorni contati  , in programmazione all’interno dell’omaggio al cinema di Elio Petri.

Yvette Bíró, autrice del pezzo, definisce il film come «il più moderno ed innovativo capolavoro tra le attuali distribuzioni».

Riportato a nuova vita in una riedizione masterizzata digitalmente, a cinquant’anni dalla prima uscita, il film di Petri viene descritto come semplice e al tempo stesso e filosofico , e spiegato  come un’ incessante ricerca del significato del vivere quotidiano. Pur partendo da una base che si rifà al neorealismo degli albori, si distacca da questa cornice, rifuggendo ogni tipo di cupa tragedia psicologica, senza evitare però la sfera delle emozioni profonde. A partire dalle esperienze personali di Cesare, il protagonista,  Giorni contati  si interroga (e interroga) sul significato della vita delle persone comuni e sul loro modo di affrontare il doloroso vuoto esistenziale che l’avanzare del tempo e la solitudine comportano.

Quello che Petri vuole mostrare è il mondo moderno percepito attraverso il punto di vista degli esclusi, andando al di là di una mera critica alla povertà e alla disoccupazione: «La vita e la morte sono messe a confronto in modo elementare, rivelando che ,per molti, la strada offre niente più che solitudine e una triste fine. Sì, l’esistenza viene prima dell’essenza».  Dietro la scoperta e le decisioni che Cesare compie in seguito al suo girovagare non si scorge alcuna opinione politica, ma  semplicemente una presa di coscienza sulle condizioni della sua stessa vita. Eppure , sostiene Yvette Bíró, tutta questa  vacuità  determina una visione delle cose più profonde.  A Petri il merito di maneggiare con estrema delicatezza un tema che non potrebbe essere più serio , senza mai esibirlo in modo pomposo. Per dirlo con le sue stesse parole :

« Questa compostezza da sola rende all’intero film potenza ed energia emotiva».

Riguardo l’interpretazione di Cesare l’autrice tesse le lodi di Salvo Randone, capace di mantenere una sorta di saggio senso dell’umorismo per tutto il tempo del suo viaggio metropolitano: «Il linguaggio del corpo si fa più autentico delle parole; esprime la profondità del passato e del presente, e mostra i segni che la vita ha tracciato su di Cesare».  In conclusione, l’autrice definisce il film« una disadorna, favola epica che offre, nel modo meno sentimentale, la sua drammatica verità. Non raffigura la realtà, bensì la sua essenziale diapositiva: l’esistenza».