Tocca rassegnarsi: l’incertezza affettiva da tempo non riguarda più solo le relazioni della prima giovinezza, ma subdola, a braccetto con quella lavorativa, ha prima spiazzato poi fagocitato la generazione figlia di quella del boom economico, che non ha soluzioni se non adattarsi suo malgrado, e con difficoltà, ad uno stato per il quale forse, in futuro, i millennials troveranno vere ricette e terza via.

Duccio Chiarini, il regista quarantaduenne di L’ospite, anche coautore della sceneggiatura, guarda con simpatia e serietà al gruppo di suoi coetanei che anima il film, spostandosi leggero - da qui la simpatia - ed empatico - ecco la serietà - con il mite Guido, protagonista del film, e facendo con lui couch-surfing in casa di amici-parenti mentre la compagna in crisi esistenziale, Chiara, occupa da sola il loro appartamento. Per mettere a nudo, letteralmente, l’origine della repentina crisi fra i due, Chiarini apre il film con una scena forte e divertente (Guido e Chiara sul letto di casa, alla ricerca di un preservativo rotto) che racchiude in sé e nei dialoghi immediatamente successivi la cifra stilistica di tutta la pellicola.

Niente musica, se non a commento non di confronti verbali serrati e drammatici, che pure abbondano, ma più semplicemente degli spostamenti solitari di Guido in città; dialoghi densi e mai enfatici; ritratti attuali di topoi di coppia in cui riconoscere se stessi e la propria cerchia di amici. Insomma adotta un tono opposto a quello tipicamente scelto da Muccino per le medesime circostanze, e si distanzia per capacità di intrattenere anche dalla Bruni Tedeschi del recente I villeggianti che, nonostante la messa alla berlina di situazioni più atipiche e fuori controllo di quelle de L’ospite, per lo più annoia. Il tocco delicato e autentico di Chiarini ricorda invece quello di Francesca Archibugi, e la presenza di Thony, qui nelle vesti di promettente alternativa sentimentale per Guido, non può che far pensare al Virzì di Tutti i santi giorni, altro film su una coppia a metà strada fra il mettere radici e l’impossibilità di farlo.

Stretto fra genitori che, da manuale, battibeccano senza sosta, una coppia di amici in attesa del secondo figlio e solida solo in apparenza ed un amico single volubile ed irresponsabile, Guido è costretto a fare della sua sofferta condizione di zingaro occasione di crescita, per scoprirsi vicino non tanto ai coetanei con cui è comprensibilmente portato a confrontarsi, quanto ai suoi alunni alle prese con il racconto di formazione per eccellenza, l’Isola di Arturo.

E visto che la condanna all'incertezza e a nuovi decorsi sentimentali pare ineludibile, Chiarini invita a fare dell’instabilità virtù, accogliendone i risvolti positivi e le possibilità. I quasi-adulti di L’ospite, sideralmente lontani anche dal magnifico quarantenne Nanni Moretti uscito dalla generazione di mezzo fra quelle di Guido e dei suoi genitori, vanno ai concerti rock, si incontrano su Tinder, soffrono d’ansia cronica e sognano di lavorare oltreoceano, in attesa di una maturità dura da guadagnare, ma alle prese come apripista, poveri loro, con una instabilità affettiva dalle conseguenze tutte da sperimentare.