"Si tratta di un film attuale, perché parla di fragilità.
E oggi lo siamo più che mai"
Carlo Verdone
Uscito nelle sale la bellezza di trent'anni fa, Maledetto il giorno che t’ho incontrato resta un film di fortissima attualità e, a detta di molti critici, studiosi e pubblico che recentemente hanno avuto il piacere di rivederlo proiettato in sala, ancora di potente impatto spettatoriale, drammaturgico, visivo. Il “mondo Verdone” stava iniziando, tematicamente, a concretizzarsi sempre di più e l’idea di un film che tirasse un po’ le somme era nell’aria. Non a caso questo film si pone quasi a metà di tutta la produzione verdoniana, come una sorta di spartiacque, di momento di confine in un periodo intensissimo per Verdone, che girerà ben due pellicole: il 1992 è l’anno, infatti, anche del più autobiografico Al lupo al lupo.
Se nel precedente Stasera a casa di Alice (1990), l’attore-regista romano aveva avuto accanto una doppia spalla, formata dal duo Castellitto/Muti (e provando a iniziare una sorta di indagine comico-ironica su un universo poco esplorato come quello del porno), con Maledetto… torna quasi alle origini, portando al suo fianco una sola comprimaria, una angelica e bravissima Margherita Buy (al suo ottavo film), che per la sua interpretazione di “Billa” Camilla farà incetta di premi, ottenendo anche una nomination ai David di Donatello come Migliore attrice. A differenza delle altre donne verdoniane precedenti, però, il personaggio della Buy non è una semplice “spalla”, ma una vera e propria protagonista, mettendosi alla pari di Verdone.
Il film segna la totale e definitiva rappresentazione della nascita del nuovo e rinnovato “uomo verdoniano”: nevrotico, timido, appassionato di musica, dipendente da farmaci vari e soprattutto insicuro con le donne, con le quali vive un rapporto al “limite” del noto Complesso di Edipo. Qualcosa già era emerso negli altri film (pensiamo al protagonista di Borotalco o a quello di Acqua e sapone) ma qui, a detta dello stesso regista, è come se si fosse messo in moto un meccanismo di psicanalisi: si pensi non solo al riferimento chiaro presente nel soggetto del film, dove i due protagonisti sono costretti ad andare in psicanalisi, ma al delicato momento storico e soprattutto sociale che stava vivendo la nostra nazione.
Gli uomini sempre più insicuri, schiavi di una generazione che aveva risposto in loro mirabolanti idee per il futuro e le donne che cominciano ad avere maggiore consapevolezza di sé, soprattutto attraverso il lavoro e il rapporto con la rivoluzione dei costumi. Si pensi a quanto l’abito sia interessante per la divisione dei ruoli nel film: entrambe le donne incontrate dal personaggio di Verdone (Bernardo) indossano sempre i pantaloni, entrambe si rivolgono a lui con un nomignolo (“Bernie”), entrambe prendono in mano la situazione, dando delle svolte decisive alle vicende. La donna verdoniana sembra avere un rapporto difficoltoso con il vestiario: l’unica volta in cui la Buy indosserà un abito più “femminile” sarà nel finale: uscendo dal suo confine, però, rischia di compromettere il suo rapporto con Bernando.
Il tutto è tenuto insieme da una sceneggiatura perfetta, scritta per la prima volta da Verdone stesso in coppia con una donna, Francesca Marciano: scriveranno a quattro mani altri due film importantissimi per la rappresentazione della donna nell’universo di Verdone e cioè Sono pazzo di Iris Blond (1994) e Perdiamoci di vista (1996). Questo aspetto non è da sottovalutare: la donna verdone-marcianiana è diversa da quelle rappresentate nei film precedenti e in quelle degli anni Ottanta, più “acqua e sapone” restando nella scia del regista romano. Si tratta di una figura femminile che vive gli anni Novanta con determinazione, alla ricerca di una propria identità e maggiore consapevolezza di sé e di come il mondo decide di raccontarla.
Non è un caso che entrambi i protagonisti siano in analisi perché non si sentono accettati appieno: ma mentre il personaggio maschile è sconfitto in partenza, quello femminile è come se non avesse consapevolezza della sua condizione, annebbiata dall’amore per il proprio psicanalista. È una donna che fa allusioni sessuali, a baci particolari, che cerca di realizzare i propri sogni, che indossa i pantaloni, si intende di musica (tutte e tre le donne dei film scritti con la Marciano hanno alcuni punti in comune, anche ad es. il modo in intrattengono relazioni amorose, sempre difficoltose sotto certi aspetti). Una donna che vince sicuramente sull’uomo, su tutti i fronti: è lei a dare consigli a Bernardo, lei che fa le cose al posto suo, lei che gli procura i soldi per la sua intervista. Già perché Bernando è un giornalista musicale e deve scrivere una biografia su Jimi Hendrix. Nella fase finale di questo lavoro decide di andare in Cornovaglia (splendidamente fotografata da Nico Desideri, che ha vinto un David per il suo apporto tecnico).
Lo spostamento come ricerca non solo di sé stessi, ma come dislocamento dell’animo: le donne verdoniane-marcianiane hanno bisogno di scappare dall’Italia per ritrovarsi: si pensi alla Bruxelles di Iris Blond e la Praga di Perdiamoci di vista. A tenere insieme questo strano gioco di coppie c’è la musica di Hendrix: il film infatti detiene un record particolare trattandosi dell’unico film che ha al suo interno ben cinque brani interi dell’artista.
Tra le note di Hendrix la storia d’amore/odio tra Verdone e Buy si concretizza con in mezzo la dipendenza da farmaci, soprattutto antidepressivi: la forte componente biografica emerge anche in questo ambito, dato che il regista è un appassionato di farmacologia, da anni. Ma questo permette anche di porre l’accento su come sia andata in crisi la percezione dell’accettazione del sé, in una società sempre più attenta ai consumi, alla mercificazione e all’omologazione dei costumi.
Impianto biografico e rapporto con l’universo femminile, musica e amicizia: il film verdoniano è l’esempio perfetto di commedia brillante e sofisticata, considerato da molti, a cominciare dal regista stesso, come "la risposta italiana a Harry ti presento Sally" (tra l’altro la somiglianza Ryan-Buy non è solo evidente fisicamente, ma anche per personaggio e vestiario, a volte addirittura omaggiato sembrerebbe).
Il film, uscito il 31 gennaio del 1992, resta fortemente contemporaneo: "Anche se oggi siamo molto più cinici e arrabbiati, la fragilità che si riscontra in Maledetto il giorno che t’ho incontrato si sente molto anche oggi". Trent’anni e non sentirli.