Enrico Cerasuolo compone il suo personale inno ad Anna Magnani, forse la più grande attrice italiana mai esistita, immaginando di scriverle una lettera le cui parole punteggeranno l’intero documentario, alternate a interviste, tra le quali anche quella inedita e intima concessa ad Oriana Fallaci e scene tratte dalle sue interpretazioni più famose. A completare il tutto il generoso contributo del figlio, Luca Magnani. Il film comincia, naturalmente, con la sequenza più famosa, quella di Roma città aperta, con la quale, in qualche modo, la Magnani darà alla luce la Nuova Italia, quella del dopoguerra e della rifondazione dopo il ventennio fascista e le occupazioni, per poi procedere cronologicamente, dagli inizi teatrali al matrimonio e alla rottura con Alessandrini, passando per il neorealismo e Roberto Rossellini, la guerra dei Vulcani, gli Stati Uniti d’America, Tennessee Williams, Marlon Brando e l’Oscar, fino al ritorno al primo amore, quello per il teatro, suggellato dalle parole affettuose e sincere di Eduardo dopo una magistrale interpretazione della Medea di Jean Anouilh, per la regia di Giancarlo Menotti.: “Non lo sai nemmeno tu .. la forza che hai, la bellezza della voce e la spontaneità dei gesti, è vero non sai nemmeno tu quello che hai fatto, questo te lo posso dire sinceramente, con tutto il cuore. Sai che io non vado a teatro mai, se non per recitare, ma vengo solo quando reciti tu!”.
Il film si avvia al termine con le dolorose immagini del funerale, ma potrà chiudersi solamente con il suo lascito cinematografico in Roma di Fellini (1972): Anna Magnani rincasa costeggiando le mura di un vecchio edificio patrizio a Trastevere, augurando la buonanotte e chiudendo il portone in faccia al regista romagnolo. Non la vedremo mai più sul grande schermo, morirà prematuramente un anno dopo, lasciando un grande vuoto nel mondo del cinema italiano, uno di quei vuoti che non si esita a definire incolmabili.
Il buon lavoro di Cerasuolo riporta a galla il ruolo fondamentale che ha avuto la Magnani, non solo nel cinema, ma anche e soprattutto nella società e se vogliamo nella Storia italiana. Un’attrice che è divenuta icona di quella che è stata una delle pagine più importanti della storia del cinema mondiale, una donna che ha dovuto faticare più di altre per raggiungere quella libertà artistica e morale necessaria per esprimere a fondo la propria arte. Una figura capace di distruggere gli stereotipi maschili della donna ideale e i modelli sui quali erano costruite le dive passate e anche quelle future. Anna Magnani, dunque, come unicum nel panorama cinematografico italiano, con quei tratti duri e spigolosi e quelle occhiaie pronunciate che palesavano ogni minima traccia dei suoi momenti difficili e delle sue sofferenze, sempre affrontate con la massima vitalità, naturalezza ed onestà. Una grande donna e un’enorme attrice, un fiume in piena che inondava lo spazio filmico (o teatrale che fosse) in maniera incontrollabile e intensissima. Lo avevano capito bene soprattutto Jean Renoir e Luchino Visconti, un po’ meno gli americani che (a parere del figlio) idealizzarono la figura di Anna, e della donna italiana in genere, dipingendola come passionale, ma troppo caciarona e rumorosa, assetata d’amore e con la tendenza a voler dominare l’uomo, finendo per farle fare lo stesso personaggio in tutti e tre i film d’oltreoceano.
Presentato in anteprima mondiale nella sezione Cannes Classics lo scorso maggio, vedremo al Cinema Ritrovato 2019 questo commovente omaggio ad Anna Magnani, attrice romana che potrebbe essere anche un po’ il simbolo della città, una Roma vista come Lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra, buffonesca, … e potremmo continuare fino a domani mattina. “La verità che si cerca la Magnani la offre, perché è il suo modo di essere, il suo modo di esistere. Per me quella è la cosa più importante che lei porta sul teatro, è una nuova dimensione, una dimensione reale che non è realistica però, perché Anna Magnani lavora con un mestiere molto preciso e molto competente. Non è mai sciatto o casuale quello che fa, è sempre sostenuto da un forte istinto professionale. Lei riesce ad ottenere quel miracolo raro di professionalizzare la verità” (Franco Zeffirelli).