Tecnico, per una metà, un po’ semplicistico, per l’altra. L’ultimo documentario di Mark Cousins (The Story of film: an Odyssey) cerca un equilibrio difficile fra cinefilia, politica e storia, perdendosi a rincorrere ricorsi storici. Dispiace per un’occasione forse non persa, ma colta a metà. Presentato alle Giornate degli Autori a Venezia, il film passa velocemente dalle tautologie trumpiane (“Mussolini is Mussolini”, “I want to be associated with interesting quotes”) alla Napoli del 1922 di È piccerella. Poi da Elvira Notari a Umberto Paradisi: sempre sul golfo di Napoli si apre A Noi racconto-celebrazione della marcia su Roma.

Lo sguardo cinefilo di Cousins smonta fotogramma per fotogramma la propaganda di Paradisi. L’illusione del cinema in A Noi non illumina, non scopre la realtà, come nei grandi autori, ma la nasconde: il montaggio moltiplica le camicie nere, cancella la pioggia, non mostra – perché non può e non deve mostrarlo – cosa avveniva dietro le quinte nella stanza d’albergo di Mussolini.  La parte più tecnica del documentario di Cousins è brillante al netto di un commento, forse, eccessivo del regista e di una piccola imprecisione: è vero che la visita di Mussolini all’Altare della Patria avvenne giorni dopo la marcia, il 4 novembre 1922, ma nella versione di A Noi conservata sul sito dell’Istituto Luce una didascalia (minuto 42:46) dice chiaramente che le ultime riprese sono del giorno dell’anniversario della guerra, quindi il 4 novembre. Questo dettaglio non toglie nulla all’analisi di Cousins che mette in guardia dalla propaganda, dall’uso distorto delle immagini.

La citazione de Il potere di Augusto Tretti mostra che già negli anni Settanta, e forse anche prima, c’era consapevolezza della visione distorta proposta da Paradisi: la marcia su Roma nel film di Tretti potrebbe essere benissimo una parodia di A Noi. Mi sia concesso un ricordo. Nel film di Tretti la scena della parata dei soldati ricorda una storia che raccontava mio nonno: Mussolini non aveva uomini e faceva girare intorno alla piazza le stesse persone con abiti diversi. Aveva visto i film di Tretti? Si tratta di una fonte comune? Non mi è dato saperlo. Ma l’analisi cinefila di Cousins ribadisce, attraverso il caso di A Noi, l’importanza fondamentale di uno sguardo critico, attento, mai passivo nei confronti delle immagini, soprattutto se propagandistiche.

E poi? Il documentario sembra perdersi. Si perde nel monologo, d’invenzione, interpretato da Alba Rohrwacher che stona e non si amalgama con la parte più tecnica, documentaristica: perché opporre un’analisi così serrata e ricca di dati a un monologo di finzione? Cousins si perde anche in riferimenti forse un po’ superficiali al contesto culturale dell’epoca (Marinetti, D’Annunzio, l’architettura); negli accostamenti con realtà, di destra lontane e diverse non solo da A Noi ma anche fra loro. Per affrontare queste realtà bisognerebbe stare nel presente e col presente.

La parte sul Cinema Troisi è il racconto di una bella realtà (che vive di scontri forti con il mondo dell’estrema destra romana), ma cosa c’entra con l’analisi del film di propaganda di Paradisi? Dopo le riflessioni su A Noi, sarebbe stato interessante un confronto con i moderni mezzi di propaganda delle realtà di estrema destra a cui Cousins fa riferimento. Il problema non è la scelta, giustissima, di uno sguardo non imparziale, per riprende Santiago Italia, ma la differenza di tono fra le parti del film.

La sensazione è che Cousins, nella parte meno cinefila, si sia un po’ lasciato andare all’impressionismo, ma su temi che, proprio perché importanti, attuali, gravi, meritano di più. Meritano la stessa profondità di analisi che il regista ha dato, nella prima parte, al film di Paradisi. E questa leggerezza alla fine strappa un sorriso amaro: dopo aver smontato l’invenzione della tradizione fascista della marcia su Roma, Cousins si dimentica che anche Bella ciao è una tradizione inventata, il cui successo è di circa vent’anni successivo alla fine della guerra. Non sarebbe stato meglio Fischia il vento?